Comunità di pensiero e di persone. Cultura, università e ricerca

a cura della Presidenza Nazionale FUCI

Cultura

“Una corretta antropologia è il criterio di illuminazione e di verifica per tutte le forme culturali storiche. L’impegno del cristiano in
ambito culturale si oppone a tutte le visioni riduttive e ideologiche dell’uomo e della vita.”1
Una cultura sana dipende da una visione sana dell’uomo, sorgente stessa della cultura. Viviamo in una società che
ha dimenticato l’integralità dell’uomo facendo vivere secondo le logiche dell’utilitarismo, radicate nel guadagno e
nel prestigio sociale. L’esclusione della dimensione spirituale, dunque, rischia di appiattire l’umano sull’esteriorità
e di non dargli uno slancio a partire dalla vita interiore. Ne deriva un messaggio forte e in contraddizione con
l’annuncio del Vangelo: ciò che ai vale più di quello che sei.
Se la società contemporanea cerca di vendere un’idea di uomo-monade, noi sottolineiamo invece la visione
antropologica di un uomo-nodo, aperto alle risonanze nella sua vita interiore di ciò che incontra nel mondo e volto
alla costruzione di una cultura sociale e politica più giusta, fraterna e solidale. L’uomo-monade è soggetto che si
crede onnipotente, è distaccato dalle relazioni che intrattiene, indifferente e si muove per bisogno egoistico.
L’uomo-nodo, al contrario, è pienamente consapevole della sua dipendenza dalla realtà che lo circonda: il nodo non
esiste senza fili, senza relazioni significative. È colui che si apre criticamente all’esterno, che apre il cuore e la
mente alla contaminazione. Questo modello riferisce ad un elemento caratterizzante ed irrinunciabile della
cultura: la sua dimensione comunitaria. La comunità degli studenti, dei docenti e di tutti coloro che fanno ricerca
è la vera e propria officina del sapere. Abbiamo visto le difficoltà riscontrate nella comunità universitaria a causa
della crisi pandemica. La mancanza di luoghi di confronto sia in aula che fuori hanno notevolmente inficiato sia
da un punto di vista concreto – sulla perdita della capacità di concentrazione, sul rendimento, sulla motivazione
nello studio e sul benessere psicofisico – che sul significato stesso dello studio universitario.
Mettere al centro l’uomo nella sua dimensione relazionale crea le condizioni per ripensare il modo di fare cultura.

Università

Le conseguenze di una cultura individualista hanno effetti strutturali sul sistema universitario e influenzano la
postura di chi lo abita. Nell’impostare l’Università secondo un modello efficentista, si perde la dimensione
relazionale della cultura e dello studio, che ne sono la matrice e la condizione di esistenza. Ricordiamoci che le
prime universitas erano città di studiosi in costante interazione reciproca.2
Se mancano l’attenzione ad una formazione integrale dell’uomo e del pensiero, la competitività e la visione
utilitarista degli anni di studio universitario diventano la logica dominante. Lo studente viene trasformato in un
semplice utente di un servizio. Questa postura passiva è anche dettata dalla mancanza di ascolto delle istanze
studentesche nei processi decisionali e dunque dalla mancata responsabilizzazione degli stessi nella gestione della
realtà universitaria.
Negli ultimi anni, sono emerse alcune conseguenze di questo assetto culturale: la condizione di fragilità
psicologica degli studenti, i casi di giovani universitari suicidi, la realtà universitaria intesa come esamificio, l’alta
concentrazione di fuorisede nelle città più grandi e i conseguenti risvolti economici, il divario Nord-Sud, la
difficile transizione digitale e altri ancora. Un progetto politico che possa andare incontro a tutte queste esigenze
non ha ancora trovato spazio nel contesto italiano, anzi, alcuni di questi aspetti problematici si sono fortemente
aggravati. Si pensi ad esempio alle forti migrazioni dei giovani meridionali verso gli atenei del nord, motivati da
una migliore organizzazione territoriale, maggiori possibilità lavorative e da un ventaglio di scelte più ampio
proprio per le reti instaurate tra il territorio e i centri di ricerca. Appesantendo numericamente le presenze di
iscritti all’interno delle grandi città si stanno riscontrando gravi mancanze dal punto di vista strutturale delle
stesse, ma anche un abbandono dei centri più piccoli che faticano a trovare nuovi iscritti e a valorizzare il

territorio e i centri di ricerca lì presenti. Tutto questo va inserito in un contesto di finanziamenti pubblici
fortemente definito dalle valutazioni dell’efficienza degli atenei condotte dall’ANVUR (Agenzia Nazionale di
Valutazione dell’Università e della Ricerca) che mettono al centro il numero di iscritti e le performance di ricerca
per tempistiche ed efficacia. Ad esempio, contesto marginalizza gli studenti fuoricorso in almeno due modi. In
primo luogo, essi vengono sottoposti a una pressione psicologica per l’essere “in ritardo” non solo da docenti e
dal sistema stesso dei corsi di laurea – ove si opera una standardizzazione dei percorsi universitari -, ma anche da
una mentalità dilagante nei contesti sociali e talvolta anche nelle famiglie degli studenti. A questa pressione sullo
studente si aggiunge anche la lettura discriminante operata nelle schede dei criteri di valutazione degli atenei
italiani. Infatti, nel bilancio del numero di iscritti per l’assegnazione di punteggi di valutazione dell’ateneo contano
effettivamente solo gli studenti “regolarmente iscritti”, e non fuoricorso. Abbiamo quindi una categoria di
studenti che non vengono nemmeno considerati tali. Non possiamo non considerare -sebbene ciò sia stato fatto
per un lungo periodo- i dati legati al disagio psicologico, dilagante e ormai definitivamente emerso da quando la
crisi pandemica ha sdoganato il tema nel contesto universitario. Non si può pensare di restare inerti davanti al
susseguirsi di tutte queste dinamiche. I grandi rischi impliciti che emergono da queste considerazioni sono solo
alcuni dei tanti problemi irrisolti con cui la società e l’università stessa devono confrontarsi.
Inoltre, qual è lo spazio dedicato alla ricerca nel contesto universitario? Idealmente, la ricerca si dovrebbe trovare
proprio al cuore dello studio come promotore del dialogo all’interno della comunità universitaria. Assistiamo
però a una settorializzazione e finalizzazione della ricerca che spostano l’ago della bilancia verso i privati che
investono i capitali e mantengono quindi il timone in direzione degli interessi del mercato. La dinamica
strettamente economica risulta anche svantaggiosa sul tema del divario territoriale già analizzato in precedenza,
che rende ancora più isolati i piccoli centri di ricerca e sempre più attrattivi i grandi atenei. Ma che libertà
lasciamo alla ricerca se le logiche di produttività e gli interessi economici sono i principali strumenti e motori che
alimentano l’orizzonte accademico? Dove ritroviamo l’inclinazione umana alla base del senso stesso della ricerca?

Ricerca di senso

L’uomo è un essere in costante movimento, in costante tensione, in ricerca esistenziale. Nell’essere cristiani
riconosciamo la vocazione battesimale ad essere in ricerca di Dio, un desiderio di andare in profondità che
diventa lo stile con cui abitare le nostre realtà. Oggi, si è sempre più inclini a considerare la laurea come punto di
arrivo, e l’affanno per l’inserimento nel mondo del lavoro sembra sostituire la ricerca di senso.
Dobbiamo essere consapevoli che la Sapienza del cuore, la “sapienza dei sapienti” di cui parla San Paolo (1 Cor
1, 17-25), non deriva dall’ottenimento di una laurea. La Sapienza del cuore deriva da un incontro profondo con la
verità della rivelazione nella croce. È la relazione con Dio che rende capaci di Sapienza e consapevoli che la verità
non la si può possedere, ma solo incontrare, rendendo così la ricerca dell’Altro l’urgenza del sapiente. Questa è
una delle sfide del cristiano e della donna e dell’uomo di cultura: ricordare al mondo che l’orizzonte della realtà è
molto più ampio di quello su cui la vogliamo appiattire.
Tali riflessioni portano a domandarsi quale sia oggi il ruolo dell’università. Che stile di ricerca rivelano le scelte
politiche che riguardano l’ambito universitario? Se l’università, per eccellenza casa della cultura, non punta sullo
sviluppo integrale della persona, chi altro dovrebbe farlo?
La missione dell’università, il sogno da cui è nata, è quello di illuminare lo spirito dell’uomo facendo fiorire le sue
potenzialità in una dimensione comunitaria. È dunque necessario chiedersi: siamo coerenti con il sogno
dell’università?

1 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Capitolododicesimo,II,n.558
2 Giuseppe Tanzella-Nitti, “Breve Storia dell’Università”, Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, www.disf.org