Lettera a un’universitaria stanca

di Tindara Scirocco, fucina del gruppo C. Ferrini dell’Università degli Studi di Milano e studentessa di Medicina

Ti immagino seduta a una scrivania, con un paio di tazzine di caffè vuote accanto. So per certo che hai un
libro aperto, e probabilmente sono ore che stai lì a rileggere un paragrafo, ma se entrassi ora e ti chiedessi
di che parla mi guarderesti smarrita. Eppure stai seguendo tutti i consigli che ti hanno dato per studiare in
modo efficace. Il telefono è di là in cucina, spento. Hai acceso una candela, messo la musica lo-fi, hai
provato pure quell’integratore che pare faccia miracoli. Però ogni volta è la stessa storia, le ore passano, e tu
di ciò che hai letto non ricordi nulla.
Che succede, studentessa? Perché piangi?
Dici “mi sento rotta”, il tuo cervello è come un oggetto che non funziona, non riesce più a studiare. Perché
tutte le volte che stai lì, ferma davanti ai tuoi appunti, in realtà la tua mente si muove veloce e va lontano,
vola inseguendo le preoccupazioni, e le ansie, e le mille cose che dovresti fare e non stai facendo.
Tante persone raccontano la tua stessa storia. Lo so che non ti fa stare meglio saperlo, ma l’università negli
ultimi tempi sta diventando fonte di uno stress eccessivo per molti tuoi coetanei.
Studiare è un esercizio difficile. Farlo negli anni dell’università lo diventa a maggior ragione, perché ciò che
stai studiando lo hai scelto tu, ha a che fare con la tua scelta di vita, con le tue domande esistenziali. Gli
esami che prepari sono terreno di prova che ti spingono a chiederti: “Sono una persona capace? È la strada
giusta per me?” Da sola davanti ai tuoi libri emergono i tuoi limiti, le tue difficoltà, l’impossibilità di poter
davvero capire tutto. A volte non ti senti brava, anzi ti percepisci proprio incapace. E anche se oggi ti dico
che è normale, che anzi è persino giusto dubitare nel proprio percorso, e che fa parte della strada non
riuscire in tutto al primo tentativo, lo so che non mi credi.
La società in cui viviamo sembra raccontarci un mondo che non ammette fallimento, in cui non c’è spazio
per sbagliare. Ce lo dicono i giornali, quasi ogni giorno, riportando notizie di giovani eccellenti la cui ricetta
per il successo è non dormire la notte. Ce lo dice la politica, che si disinteressa in modo sistematico della
nostra generazione, mettendoci davanti un mercato del lavoro con offerte-sfruttamento, che se rifiutiamo a
quanto pare è solo “perché non abbiamo voglia di lavorare”. Lo dice a te che sei donna, perché per una
donna fare carriera è una sfida ancora più grande, nonostante da anni ormai negli atenei ci siano più
studentesse che studenti. Lo so che questa incertezza nei confronti del futuro ti tocca, e non ti fa stare
serena. Aumenta i tuoi dubbi, e ti spinge ancora di più a pensare che l’unica cosa che devi fare è non
sprecare nemmeno un secondo, studiare più che puoi, essere eccellente, non perdere un colpo, perché solo
uno su mille ce la fa e tu vuoi essere quell’uno su mille, non puoi far parte dei novecentonovantanove
perdenti.
Questa narrazione permea anche l’università, il luogo in cui hai scelto di investire gli anni della tua
giovinezza per scoprire chi sei e quale può essere il tuo posto nel mondo. Non si sta rivelando un posto che
ti fa fiorire: ti senti solo un numero, la matricola che scrivi sul foglio agli esami. Ogni tanto ti senti fuori
posto, come quando il professore all’esame ti ha rinfacciato che dopo cinque anni di studi a quella domanda
avresti dovuto saper rispondere, nonostante non fosse in programma. Oppure come quella volta in cui il
direttore del corso di laurea, convinto di fare una battuta, ha detto che la facoltà che stai frequentando non
è per tutti, e che potrebbe persino essere considerato “fisiologico” se qualche studente si suicida. Lui si
aspettava che rideste, ma tu non hai potuto non pensare a Luca, che da qualche mese non frequenta più le
lezioni, e proprio bene non sta. E nella tua testa c’è sempre una vocina che sussurra: “Sarò io la prossima a
mollare?”
In questi mesi in cui sei in difficoltà, che studiare non ti viene facile, mamma e papà sono preoccupati.
“Quanto hai intenzione di metterci?” è la domanda in sospeso tra di voi. Mantenerti è un costo, anche se

con le ripetizioni stai cercando di alleggerire un po’ il peso che senti di essere per la tua famiglia. Però non
basta un lavoretto per essere economicamente indipendente in una grande città come Milano.
E tutte queste cose, e mille altre ancora, ti continuano a tormentare mentre sei sempre seduta lì, alla
scrivania, davanti al tuo paragrafo. È domenica, ma non sei riuscita ad andare a messa. Anche la preghiera,
che una volta era la tua certezza, è venuta meno. Ti senti persa. Hai rinviato anche l’aperitivo con gli amici
perché entro stasera vorresti proprio finirlo, il capitolo, ma . Ultimamente stai restando sempre più in casa,
sempre da sola, sempre a studiare. E nonostante questo, quell’esame non lo hai passato, per la seconda
volta. Ti senti sconfitta. Tornano a scendere, le tue lacrime. E vorrei essere lì per abbracciarti.
Fermati, studentessa. Respira. Guardami.
Io sono te. Sono stata te. E credimi quando ti dico che non sei rotta, sei solo stanca. Non sei sbagliata, hai
solo bisogno di ritrovare il tuo baricentro.
Il percorso universitario non è una corsa verso il traguardo della laurea, ma un tragitto. E conta tutto ciò che
metti in questo tragitto, gli incontri che fai, ciò che ti fa brillare gli occhi e ti fa battere il cuore. Non
trascurare tutto solo perché hai degli esami da dare, perché le risposte alle tue domande esistenziali spesso
non si trovano sui libri. Anche un caffè in compagnia può darti tanto: io ho capito molto più di me e di ciò
che voglio essere commentando una canzone o una notizia con gli amici, piuttosto che dalle interminabili
ore trascorse sul manuale di anatomia. Forse non lo scriverai nel curriculum, ma tutto ciò che ti riempirà la
vita in questi anni tornerà in futuro moltiplicato per mille, nell’abilità di parlare con i clienti o nel saperti
prendere cura di qualcuno che ti verrà affidato. Dopo sei anni di studio sento di poterti dire con ragionevole
certezza che la cosa più importante durante gli anni universitari è trovare un gruppo di amici con cui
crescere e sostenersi a vicenda nel capire chi si è, ma soprattutto per chi si vuole essere. Io questo l’ho
trovato nella FUCI, un luogo che mi ha mostrato che il mio studio è servizio al prossimo già adesso, e che mi
ha insegnato che dai “fallimenti” possono nascere possibilità di approfondimento e di bellezza, per tutti
coloro che ti stanno attorno, ma soprattutto per te.
Fammi un favore, questa sera: mettiti un paio di scarpe comode, ed esci fuori. Guardati intorno, respira,
fermati a guardare un fiore. Chiama un amico, raccontagli come stai. Non tenerti tutto dentro, affida le tue
preoccupazioni a qualcuno che possa aiutarti ad affrontarle. Non dimenticarti che in università ci sono
sportelli psicologici, tutor, professori. Ci sono i tuoi colleghi, tantissime persone che se solo avrai il coraggio
di parlare, potranno accompagnarti. Non sei sola, non ti lasciamo sola. Tu, non sei un fallimento. Non sei la
tua media, gli esami che ti mancano alla laurea, i mesi fuoricorso. Tu sei speciale, e la tua salute mentale
conta, tanto quanto quella fisica. Prenderti cura di te e di ciò che stai provando è il primo passo che devi
fare per ricominciare a camminare.