LA CITTÀ HA PERDUTO LA SUA ANIMA

di Sabrina Manuelli

FUCINA DEL GRUPPO DI BOLOGNA E STUDENTESSA DI ANTROPOLOGIA, RELIGIONI E CIVILTÀ ORIENTALI

In questo articolo mi soffermerò sui cambiamenti avvenuti in città sul piano della gentrificazione, della migrazione e sul piano culturale, riportando il caso di studio sulla città di New York illustrato nel libro di Sharon Zukin, L’altra New York (edizione italiana).

L’introduzione al volume di S. Zukin si apre con questo titolo, in quanto alla base della sua riflessione c’è l’intento di mostrare i cambiamenti avvenuti a New York all’inizio del XXI secolo e all’indomani della crisi finanziaria del 2008. Questa crisi ha interrotto l’alternarsi “delle origini e dei nuovi inizi”, uno dopo l’altro i quartieri hanno perduto le loro dimensioni e la loro identità locale, trovandosi davanti al processo di gentrificazione: da un giorno all’altro, i piccoli negozi come la ferramenta, il calzolaio o la latteria, che per tanto tempo avevano caratterizzato i quartieri, chiudono i battenti venendo sostituiti da Starbucks, centri commerciali e gourmet; d’altro canto, questi cambiamenti non riguardano solo i negozi, ma anche le persone e sono associati allo spostamento di fasce di popolazione benestante e colta – la gentry – in quartieri popolari e alla crescita del valore degli immobili che ne consegue, per cui un’area “in declino” si trasforma in un quartiere costoso dotato di fascino storico oppure alla moda.

Uno degli elementi più importanti della città è il suo alimentare un dialogo continuo tra le due facce dell’autenticità, tra i tratti che ogni generazione vede come “originali” e quelli che crea per conto proprio. La tensione tra origini e nuovi inizi produce il desiderio di preservare la città “autentica” e di sviluppare centri di innovazione culturale; ciò si vede chiaramente accostando due esempi come Robert Moses (urbanista pubblico orientato a costruire la “città degli affari”) e Jane Jacobs (scrittrice urbana che lottava per preservare i “villaggio urbano”). Di recente, il concetto di autenticità ha assunto un significato diverso, passando da essere connotato delle persone ad attributo delle cose e, più recentemente, delle esperienze, tanto da essere inserito dalla rivista «Times» tra le dieci idee più importanti del 2007. Una città è autentica se riesce a creare l’esperienza delle origini, e questo avviene preservando gli edifici e i distretti storici, incoraggiando lo sviluppo di piccole boutique e caffè ed etichettando i quartieri in termini di identità culturali distintive. Nella cultura occidentale, l’idea di autenticità è emersa tra
l’epoca di Shakespeare e quella di Rousseau, quando uomini e donne iniziarono a sviluppare l’idea di un sé autentico come carattere onesto e genuino, in contrasto con la disonestà degli individui da un lato, e la falsa morale della società dall’altro. Secondo Rousseau, uomini e donne sono autentici se sono vicini alla natura – o a quello che gli intellettuali immaginano sia uno stato di natura – più che alle discipline istituzionali del potere.

Ulteriori cambiamenti sono avvenuti in campo edilizio, modificando il piano di zonizzazione (re-zoning) che prevedeva di investire particolarmente sugli stranieri, che pagavano prezzi alti per condomini e residenze situate in zone di lusso come l’Upper East Side, o marginali come il Bronks, oppure demolire i vecchi edifici sostituendoli con palazzi più alti o grattacieli. La riqualificazione di questi vecchi quartieri durante gli anni Cinquanta fu solo una parte della campagna di modernizzazione delle città, comune a molti paesi del mondo, realizzata dislocando fabbriche, porti e mercati alimentari all’ingrosso ed espandendo i distretti finanziari e governativi.

La città è stata fortemente toccata anche dalle ondate migratorie. L’emigrazione europea di fine Ottocento può essere divisa in due fasi: tra il 1840 e il 1880, quasi tutti venivano dall’Europa del Nordovest, mentre, tra il 1880 e il 1930 la maggior parte degli immigrati veniva dall’Europa orientale e meridionale. La seconda ondata migratoria avvenne tra il 1980 e il 2000, quando per la prima volta entrarono negli Stati Uniti persone provenienti dall’Africa di propria spontanea volontà e non più come schiavi. La differenza tra i due tipi di emigrati è che oggi la maggior parte di essi giungono negli Stati Uniti come turisti e rimangono “in linea” con la propria patria grazie ai media (radio, tv, telefono, fax, posta elettronica), motivo per cui i sociologi americani nel definire le migrazioni contemporanee parlano di comunità transnazionali, in quanto non c’è un paese messicano da un lato e un quartiere di Chicago dall’altro, ma vi è una sola comunità che connette questi due luoghi, che è “un’entità binazionale”. Assistiamo a uno sdoppiamento dello spazio: da un lato, la comunità si concentra in un luogo, in un vicinato (per esempio, il Barrio di Chicago), ma dall’altro, lo spazio della comunità prescinde dal circondario circostante e connette siti lontanissimi tra loro. In questo contesto, è importante anche il concetto di “comunità immaginate”, coniato da Benedict Anderson nel 1983, non tanto perché siano irreali, ma perché sono state portate all’esistenza dall’essere pensate, immaginate, sono “artefatti culturali di un particolare tipo”.     

Queste trasformazioni recenti (la globalizzazione, le migrazioni, la secolarizzazione e i media) hanno influenzato molte forme ed espressioni della religione, ad esempio, in alcuni paesi come in Danimarca, Svezia e Inghilterra si è proposto uno studio a-confessionale della religione, mentre, in altri paesi come in Italia vi è uno studio confessionale della religione cattolica, su base opzionale, affidato a istituzioni religiose o educative approvate dalle Chiese. Nel 1985 il sociologo Robert Bellah e i suoi colleghi hanno mostrato come la religione in America si sia trasformata da integrata e pubblicamente espressa a eterogenea e individualistica. Negli ultimi anni si sono affermati alcuni gruppi di cristianesimo pentecostale specialmente in Asia, Africa e America Latina. La svolta più importante, però, è avvenuta a partire dal 1987, quando un gruppo di studiosi hanno scelto di approcciarsi a uno studio critico della religione, che tenesse conto sia di una prospettiva interna e confessionale, come quella teologica, sia di una prospettiva valoriale e deduttiva come quella filosofica. Nel complesso, si rileva l’importanza di analizzare questi processi di cambiamento nelle loro molteplici sfaccettature e, allo stesso tempo, avere una visione d’insieme di ciò che viviamo nella nostra realtà urbana attuale.