di Chiara Lambranzi, da Ricerca 1-2-3/2020

Vulnerabilità e resilienza ai cambiamenti climatici e ambientali

Da almeno vent’anni la comunità scientifica include la vulnerabilità sociale tra i fattori con cui si calco la il rischio ambientale, ovvero la probabilità che si verifichi un danno in seguito a un evento provocato da un’alterazione repentina de parametri fisico-chimici caratterizzanti le matrici ambientali acqua, aria e suolo. Gli agenti fisici che causano questi eventi possono avere quindi origine “naturale”, “tecnologica” o un insieme delle due, dato che spesso la linea che le separa diventa molto labile.

Per vulnerabilità si intende l’insieme delle condizioni, determinate da fattori o processi fisici. social, economici e ambientali, che aumentano la suscettibilità di un individuo o di una comunità dinanzi all’impatto di un evento disastroso. Solitamente negli studi relativi a una determinata regione, la vulnerabilità viene investigata rispetto a diversi parametri, come età, densità li abitazione, inadeguatezza e obsolescenza del patrimonio abitativo, facendo spesso emergere una correlazione con questi e rimarcando quindi come essi siano fattori che aumentano il rischio ambientale.

Un concetto strettamente connesso a quelli finora esposti è quello di resilienza, ovvero la capacità di una comunità di rispondere e recuperare dallo shock causato da un evento esterno, di riorganizzarsi, di cambiare e di dando una risposta alla minaccia. Dato che i disastri sono trasversali e spesso imprevedibili, la resilienza diventa lo strumento da potenziare per ridurre gli effetti degli eventi catastrofici rimane un punto di grande distanza tra comunità benestanti e coese e comunità con meno risorse. Per questo motivo, nell’ottica della riduzione delle catastrofi e delle loro ripercussioni, l’aumento della resilienza nei paesi esposti a rischi elevati di catastrofi naturali rientra tra gli obiettivi dell’Ufficio delle Nazioni Une per la riduzione dei disastri, con lo scopo di proteggere la popolazione e salvaguardare i progressi fatti sul piano dello sviluppo.

 

I migranti climatici

Il fenomeno dei migranti climatici può essere inquadrato in questo contesto, in cui tematiche sociali e ambientali sono strettamente legate. Bisogna innanzitutto distinguere le cause che portano alla migrazione e si possono individuare due categorie. La prima sono gli eventi a insorgenza lenta, come ad esempio l’aumento delle temperature in una regione e la successiva desertificazione o deforestazione e la conseguente riconversione del territorio, che generano migrazioni volontarie e con una forte componente economica.

La seconda categoria sono gli eventi a insorgenza rapida, come inondazioni e uragani, che invece provocano spostamenti quanto più possibile temporanei. Soprattutto nel primo caso, le migrazioni possono essere ricondotte a molteplici concause ed è complesso ravvisare un univoco nesso di causa-effetto. La difficoltà maggiore sta nel fatto che rara mente le migrazioni sono indotte dai soli fattori climatici e ambientali, ma soprattutto nel fatto che questi non sono le cause prima facie ravvisabili. Quello migratorio è infatti un fenomeno complesso in tutti i sensi e con una pluralità di cause. I fattori climatici e ambientali interagiscono con gli altri fattori (sociali, economici, politici e demografici) e solo dal combinato disposto di tutti gli elementi scaturisce, infine, la necessità di migrare.

Difficile diventa pertanto l’attribuzione della responsabilità a una singola causa e l’identificazione di un univoco legame di causa-effetto. Per fornire un esempio, il surriscaldamento o la progressiva desertificazione possono determinare un calo della produttività agricola e quindi di approvvigionamento di acqua e cibo, che a sua volta influisce sulla probabilità di migrare. In questa situazione è difficile stabilire se si tratti di una migrazione climatica o economica. Da una prima analisi dell’esempio. sembrerebbe trattarsi di una migrazione economica dovuta alla carenza di lavoro e mezzi di sussistenza, ma indagando meglio le cause si nota che essa è dovuta in origine a un mutamento climatico/ambientale.

Questa complessità del fenomeno migratorio, ma in generale di tutte le conseguenze dei cambiamenti climatici e ambientali, comporta la nascita di numerose disparità sociali sia all’interno degli stessi stati sia tra il Nord e il Sud del mondo. Si assiste, di fatto, a un’assenza di piani di prevenzione sul territorio (soprattutto in alcune aree del pianeta), per cui la perdita di un biosistema comporta un lento e graduale spopolamento dell’area con effetti irreversibili dal punto di vista sia climatico e biologico sia sociale. Troviamo intere aree del pianeta che si stanno spopolando perché stanno lentamente e gradualmente diventando invivibili a causa dei mutamenti ambientali e altre aree del pianeta, in cui il fenomeno è percepito in maniera meno impattante, in cui vi è sovraffollamento di popolazione.

Prospettive europee

I paesi del bacino del Mediterraneo sono caratterizzati da divari in termini sia di crescita demografica sia di condizioni socioeconomiche sia di disponibilità di risorse naturali, che ostacolano il processo di coesione e collabo razione tra gli stati e generano una situazione di debolezza strutturale che li rende estremamente vulnerabili in situazioni di crisi. Questa zona è uno degli hotspot delle rotte migratorie dirette in Europa, che coinvolgono sia rifugiati, tra i quali i migranti climatici non sono annoverati, sia migranti economici, la cui partenza può essere stata causata da fenomeni complessi che toccano anche tematiche ambientali.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a profonde trasformazioni, che a una 27 prima analisi non sembrano tra loro correlate. I moti rivoluzionari denominati “primavera araba”, che hanno travolto i regimi del Medio Oriente e del Nord Africa a partire dal 2010. hanno inaugurato una fase di forte instabilità politico-istituzionale nella regione, tutt’oggi in parte non ancora risolta. Parallelamente, una profonda crisi economico-finanziaria ha colpito i paesi della riva settentrionale del Mediterraneo, acuita dal forte incremento delle migrazioni provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa. In un contesto come quello della riva sud-orientale del Mediterraneo, caratterizzato da scarsità di risorse fondamentali. per la crescita economica e la sopravvivenza umana, come acqua e terra coltivabile, il cambiamento climatico può assumere il ruolo di “variabile nascosta” nell’amplificare il mal contento sociale e nell’incrementare l’instabilità interna, fattori che rischiano di ripercuotersi su tutti i paesi dell’arca.

 Il cambiamento climatico renderà la correlazione tra sicurezza e ambiente sempre più stringente, soprattutto in quelle aree caratterizzate da limitata dota zione di risorse naturali, eccessiva dipendenza dalle importazioni alimentari, scarsa capacità di adattamento al rischio ambientale, instabilità politica, debolezza delle istituzioni e presenza di fonti idriche condivise tra più paesi.

Molti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo fanno parte dell’Unione Europea, che ha standard di qualità ambientale tra i più elevati al mondo, sviluppati nel corso di vari decenni con il progredire dell’integrazione comunitaria. La politica ambientale contribuisce a rendere l’economia europea più rispettosa dell’ambiente, tutela le risorse naturali europee, salvaguarda la salute e il benessere delle persone che risiedono nell’UE e abbatte i divari sociali derivanti dai mutamenti climatici.

La qualità dell’ambiente è fondamentale per la salute di tutti, per l’economia e per il benessere. Tuttavia, si deve far fronte a una serie di importanti sfide, non ultime quelle relative ai cambiamenti climatici, al consumo, alle produzioni insostenibili (come, ad esempio, quella legata agli idrocarburi) e a vari tipi di inquinamento. Le politiche ambientali e la legislazione comunitaria mirano a tutelare gli habitat naturali, a tenere pulite l’acqua e l’aria, a garantire un adeguato smaltimento dei rifiuti, migliorando la conoscenza delle sostanze tossiche e aiutando la transizione delle imprese verso un’economia sostenibile. Tutto ciò fa parte del cosiddetto Green New Deal, che la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha dichiarato più volte essere “la nostra tabella di marcia per rendere sostenibile l’economia dell’UE. Realizzeremo questo obiettivo trasformando le problematiche climatiche e le sfide ambientali in opportunità in tutti i settori politici e rendendo la transizione equa e inclusiva per tutti”. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, l’UE formula e attua politiche e strategie in materia, assumendo un ruolo di guida e di riferimento nei negoziati internazionali sul clima. È impegnata a garantire l’esito positivo dell’attuazione dell’Accordo di Parigi e attuare i sistemi di scambio di quote di emissione (EU ETS) dell’Unione Europea.

 A questo proposito, i paesi dell’UE hanno concordato questo di raggiungere vari obiettivi negli anni a venire. L’Unione mira a garantire che le problematiche in materia di clima vengano recepite in altre aree politiche (ad esempio, i trasporti e l’energia) e promuove inoltre le tecnologie a bassa emissione di carbonio e le misure di adattamento. Questo fa notare come il fenomeno ambientale sia complesso e debba essere considerato nella sua interezza e nel le conseguenze anche sociali che determina. La politica ambientale dell’Unione Europea si basa sugli articoli 11 e 191-193 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Ai sensi dell’articolo 191, la lotta ai cambiamenti climatici è un obiettivo esplicito della politica ambientale dell’Unione. Lo sviluppo sostenibile è un obiettivo generale per l’Unione Europea, che è impegnata a garanti re «un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità» (articolo 3 del Trattato sull’Unione Europea).

La sfida che ci troviamo a vivere è epocale poi che più volte nel corso degli ultimi decenni i paesi, europei e non solo, hanno provato a realizzare piani per salvare il pianeta. Come è stato dimostrato, però, la sfida climatica e ambientale non è solo salvare il bioritmo del pianeta, ma riveste aspetti sociali e geografici che vanno tenuti in considerazione per evita re che si formino diseguaglianze tra la popolazione del mondo in termini sia di abitabilità sia di reperimento delle risorse sia di qualità dei luoghi da vivere.