di Clara Sapio, Caterina Salvatore e Alessandra Truddaiu
Forse la battaglia più grande che si compie nella ricerca della propria immagine identitaria è quella di riconoscersi appartenenti nella propria corporeità, accettarsi, fare pace con questo involucro esterno che sembra ricoprire e limitare la vera essenza del nostro essere. Negli anni e con l’avanzamento tecnologico si può constatare quanto questa sfida sia diventata più ardua. Se prima era una semplice lastra di vetro a riflettere e rivelarci l’aspetto del nostro corpo e a rendere noi gli unici giudici spietati, ora questa lastra è diventato un piccolo schermo a cristalli liquidi che ci mostra un incommensurabile numero di immagini con cui confrontarci. Immagini di corpi ideali, irraggiungibili. I nostri stessi account social sono diventati vetrine che raccontano il nostro corpo non come presentazione della nostra identità, dell’essere se stessi, ma come corpo oggettificato, standardizzato, raccontato da altri, fatto per gli altri. A volte i nostri corpi restano indietro, bloccati in una temporalità che non corre veloce come i trend social, fisicità che diventa barriera al raggiungimento dell’essere ideale. Negli ultimi anni ha visto prendere spazio un nuovo fenomeno che vede ragazzi in età adolescenziale utilizzare filtri o app per modificare la propria immagine fino ad arrivare a una vera e propria dismorfofobia. Il disturbo di dismorfismo corporeo (BDD) è un disturbo psicologico caratterizzato dall’eccessiva preoccupazione per uno o più difetti percepiti nell’aspetto fisico. Durante il decorso, l’individuo inizia a mettere in atto comportamenti ripetitivi, azioni mentali, comportamenti di sicurezza e comportamenti di evitamento, in
risposta a tale preoccupazione. Molte persone con BDD si rivolgono ai centri di medicina estetica e si sottopongono a interventi chirurgici, per cercare di migliorare i difetti percepiti nell’aspetto fisico. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale (IA), che ha reso possibile la costituzione di un’immagine di se alternativa secondo modelli prestabiliti, questo fenomeno si è intensificato. Dai recenti studi si evince come ci sia stato un incremento di richiesta per sottoporsi ad interventi di chirurgia plastica, dovuti ad un’immagine di sé “migliorata” dall’IA. Ma, abusando di questa intelligenza, non c’è il rischio di standardizzare l’ideale di bellezza personale portandolo alla massificazione? Il gruppo sociale più colpito è quello in età evolutiva, coloro che sono alla costante ricerca di se stessi e in bilico tra l’infanzia e l’età adulta. La percezione della propria corporeità viene così influenzata dal consenso espresso dagli altri. E’ proprio questo ciò che preoccupa maggiormente; in un futuro potrebbe esserci il rischio di esasperare l’immagine fino al conformarla al sistema, impoverendola e annullando l’unicità. Siamo corpi che ricercano bellezza, ma poi cos’è in fondo bellezza? Ciò che è oggettivamente bello, non ci è nascosto né dalle leggi naturali, né fin dai tempi del greco Fidia che con la sezione aurea architettò e scolpì opere di eterna bellezza, poiché ciò che in fondo ricerca l’occhio umano è proporzione, in altre parole simmetria. Ma come può esserci simmetria se non nell’unicità dei nostri corpi? La fede biblica porta con sé un’idea antropologica molto unitaria, nella quale corpo e anima non sono due principi contrapposti ed in perenne conflitto: sia l’aspetto spirituale che quello corporale sono entrambi necessari per costituire l’uomo e la donna.
Così come la nostra anima è un turbine di pensieri, emozioni, contrasti, imperfezioni tale è il nostro corpo. Ogni corpo è un mondo a sé. Corpo, quindi, non è solo involucro che ricopre il mondo che noi siamo, ma è il primo contatto con esso. Attraverso il corpo sentiamo, tocchiamo, percepiamo, amiamo. Se non amiamo da principio il corpo come possiamo amarci e scoprirci nella nostra interezza, come possiamo amare altri corpi, come possiamo amare Dio? Lo stesso Gesù in Mc 12,29-31 vincola l’amore di Dio e del prossimo all’amore per se stessi. Ebbene, proprio il cristianesimo si presenta al mondo come la fede più “corporale” che ci sia: il mistero dell’incarnazione si comprende solo in vista di quelle ultime e solenni parole pronunciate da Gesù: «Questo è il mio corpo». Come comprendere meglio il mistero del corpo e della
propria corporeità se non nel dono di sé?”.
1 V.Ornella, L’impatto dei contenuti dei social media sui sintomi del disturbo di dismorfismo corporeo
(2022/2023).
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