Un documento, tantissima vita

di Michele Lucchesi
GIÀ PRESIDENTE NAZIONALE DELLA FUCI DAL 2000 AL 2002, È LAUREATO IN LETTERE CLASSICHE E
DOTTORATO IN CLASSICAL LANGUAGES AND LITERATURE PRESSO L’UNIVERSITÀ DI OXFORD. INSEGNA
LETTERE NEI LICEI DI TORINO E GRECO ELEMENTARE PRESSO LA FACOLTÀ TEOLOGICA DI TORINO,
COLLABORA CON IL PROGETTO DELL’HISTORICAL AND THEOLOGICAL LEXICON OF THE SEPTUAGINT.

Scrivere dello statuto della FUCI a distan-
za di vent’anni dalla sua prima stesura è
un compito tanto gradito quando arduo.
Non si tratta da parte mia solo di recu-
perare dal cassetto della memoria ricordi, sen-
sazioni o impressioni ormai lontane nel tempo,
per quanto quello del mandato nella Presidenza
Nazionale della FUCI sia un periodo di vita che
tutt’ora rimane indelebile. Piuttosto, mi si pre-
senta davanti il compito di (ri)dare un senso a
un’esperienza che già all’epoca si prospettava
come di difficile decifrazione, perché, al di là
della ferma convinzione nel portare a termine un
compito che le presidenze della FUCI del bien-
nio 2000-2002 si erano date (la scrittura e l’ap-
provazione di uno statuto che alla FUCI mancava
da decenni), non c’erano certezze sugli sviluppi
e sulle conseguenze delle decisioni e degli atti
che si stavano compiendo. Quelle che riesco a
fornire, allora, sono delle considerazioni par-
ziali, di certo non esaurienti, che spero possano
servire alla FUCI a rileggere e a comprendere
meglio oggi lo statuto e a continuare il dibattito
relativo al proprio percorso formativo.

Le origini

Lo statuto della FUCI non ha avuto un’origi-
ne “nobile”. Spero non restino troppo delusi

quanti pensano che dietro la decisione di ini-
ziare il percorso statutario nell’estate del 2000
ci siano stati accesi dibattiti in Consiglio cen-
trale o ampie discussioni in Assemblea fede-
rale. Invece, si cominciò a parlare per la prima
volta della necessità di scrivere uno statuto per
la FUCI in Presidenza nazionale, in una delle
stanze del vecchio pensionato di Azione cat-
tolica presso l’allora Domus Pacis a Roma, di
fronte ad uno dei tanti, troppi caffè che accom-
pagnavano i nostri momenti di pausa dall’atti-
vità di Presidenza. In modo particolare, un’esi-
genza concreta che spingeva a favore dell’avvio
dei lavori statutari era quella di dotare la FUCI
di una configurazione legale che potesse farla
inquadrare come associazione di promozione
sociale, secondo la legge 383/2000 che rior-
dinava il Terzo Settore. Si partiva, insomma, un
po’ in sordina e con degli obiettivi pratici.
Del resto, nel corso degli anni Novanta c’erano
stati dei tentativi di ripensare la struttura della
FUCI rivedendo il suo Regolamento. Erano sta-
te, tuttavia, iniziative (non se ne abbiano a male
i promotori di allora) nel complesso un po’ vel-
leitarie e non troppo convinte, che non avevano
saputo raccogliere un grande consenso, in parte
perché ci si concentrava troppo sulla Presidenza
nazionale e sulle sue varie cariche, in parte per-

ché si finiva inevitabilmente per proporre rifor-
me che, sia pur limitate nella sostanza, avevano
la speranza di poter mutare in meglio la Federa-
zione tutta. Il passaggio rapido tra le generazio-
ni di fucini, dovuto ai tempi brevi di permanenza
in FUCI, aveva fatto il resto. Da ultimo, ad esem-
pio, durante il Congresso di Padova, celebrato-
si nel maggio del 2000, erano state presentate
numerose mozioni che provavano a cambiare
alcuni ruoli e alcune dinamiche della Federazio-
ne, ma nessuna di queste era stata accolta con
favore proprio perché mancava un’“architettu-
ra” complessiva di riferimento. Non erano stati
tentativi inutili, però: erano serviti a capire che
c’era la necessità di rivisitare il quadro norma-
tivo della FUCI puntando a un documento che
abbracciasse i vari ambiti e livelli della FUCI e
che bisognava operare prevedendo di conclude-
re il percorso nel giro di poco tempo.
Un’ulteriore spinta era legata alla situazione
contingente in cui la FUCI si era venuta a trova-
re. A cavallo tra gli anni Novanta e gli anni Due-
mila, infatti, diverse altre associazioni laicali si
trovarono impegnate a definire i loro statuti:
la San Vincenzo, il Csi, le Acli. Anche l’Azio-
ne cattolica, contemporaneamente alla FUCI,
aveva avviato il suo percorso statutario, ben più
complesso e irto di ostacoli, interni ed esterni.
Il clima generale dell’associazionismo cattoli-
co, dunque, era sicuramente favorevole a rifor-
mare e/o (ri)scrivere gli statuti e i regolamenti
delle aggregazioni di fedeli laici, riflettendo an-
che sulla relazione complessa con la gerarchia.
Ed è facile oggi ritenere che noi della FUCI sa-
remo stati allora influenzati dal contesto in cui
ci trovavamo immersi.

La commissione statutaria
e la risposta della Federazione

Trovato rapidamente un accordo nella Presi-
denza nazionale per avviare i lavori statutari,
occorreva capire come muoversi per presentare
un progetto credibile al Consiglio centrale, ai

gruppi, all’Azione cattolica e alla Cei. La chiave
di lettura che trovammo e che condividevamo
profondamente era quella che avremmo scritto
uno statuto non per riformare o trasformare la
FUCI che avevamo ereditato dalle generazioni
passate, ma piuttosto per farne una “fotogra-
fia” il più possibile vicina alla realtà, in modo
da risolvere alcuni problemi di natura pratica
e trovare degli aggiustamenti a questioni di
tipo organizzativo, che man mano, nel corso
degli ultimi decenni, erano emerse e a cui non
si era riusciti a dare una risposta. Come scritto
in precedenza, volavamo basso. La presidenza
di Azione cattolica non fu contraria, ma, pur
fidandosi delle intenzioni positive che ci anima-
vano, tenne comunque in sordina la questione
dello statuto della FUCI, che avrebbe potuto
dare adito a sospetti, come se si tentasse di se-
parare de facto le due associazioni.
I primi passi che compimmo andarono in una
duplice direzione. Da un lato, coinvolgemmo
pienamente il Consiglio centrale e provammo
ad allargare la questione dello statuto ai gruppi,
non solo per informarli dei passi che si intende-
vano compiere, ma per avere anche delle indi-
cazioni e degli orientamenti. Una commissione
interna al Consiglio centrale ebbe proprio que-
sto scopo e fu istituita anche come risposta alle
istanze emerse dal precedente Congresso di
Padova, cui si è già accennato. Dall’altro lato,
ci muovemmo per la creazione di una com-
missione statutaria in cui sedessero, oltre alla

Presidenza nazionale, alcuni rappresentanti del
Consiglio centrale, l’allora presidente dell’Aci,
un rappresentante del Meic e alcune persone
che in passato avevano avuto dei ruoli significa-
tivi per la Federazione, con l’intento di tenere
insieme la FUCI della nostra epoca assieme alla
tradizione della Federazione in senso più am-
pio. Coinvolgemmo, inoltre, personalità che
potessero darci una mano concreta a capire
meglio alcune questioni tecniche di tipo eco-
nomico-giuridico, così come altre che ci aiu-
tassero a riflettere su alcuni importanti risvolti
di natura canonistica e teologica. Tra tutti, la
persona che maggiormente ci guidò nel lavoro
da svolgere sin dall’inizio fu mons. Domenico
Mogavero, adesso vescovo emerito di Mazzara
del Vallo, in quegli anni di-
rettore dell’Ufficio per i Pro-
blemi Giuridici della Cei. Di-
scutendo frequentemente con
lui sia durante le sedute della
commissione statutaria, sia in
incontri informali, non solo
ci diede ottimi suggerimenti
per la strutturazione dei primi
articoli dello statuto, quelli
che definivano l’identità della
FUCI, ma ci fece anche riflet-
tere sul valore di aspetti appa-
rentemente di minore rilevan-
za, come la rendicontazione
gestionale o le procedure per poter cambiare
lo statuto stesso.
Più i lavori procedevano, più acquisivamo con-
sapevolezza che, al di là delle nostre intenzio-
ni iniziali, saremmo stati spinti a ripensare in
profondità molti punti nodali della vita della-
Federazione, spesso non per operare dei cam-
biamenti, ma per riaffermare la validità di scel-
te che la Federazione aveva compiuto in tempi
passati. Due esempi mi paiono emblematici. Il
primo riguarda il comma 4 dell’articolo 2 del-
lo statuto. In fase di discussione della bozza,

in una riunione della commissione statuta-
ria, ci fu fatto notare come non fosse affatto
scontato che la FUCI promuovesse i valori
della partecipazione democratica, anzi sareb-
be stato meglio non vincolare la Federazione
a una forma di governo che per sua natura è
transeunte. Tuttavia, questa obiezione diede
la possibilità di ribadire con ancora maggiore
convinzione che i valori della partecipazione
democratica, del pluralismo e della solidarietà
sono centrali per la missione della FUCI, non
meno che la corresponsabilità ecclesiale o la
mediazione culturale.
Un altro caso è la scelta di mantenere le dop-
pie cariche, femminile e maschile, sia per la
Presidenza nazionale, sia per i gruppi, sia
per gli altri organi della Fe-
derazione, come rimarcato in
modo evidente dal Regolamen-
to nazionale. Quella che nella
storia passata della FUCI era
stata un’esigenza dettata dalla
fusione dei due rami maschi-
le e femminile diventava, nel
2001, la decisione consape-
vole di basare la vita della Fe-
derazione nei suoi vari livelli
sulla parità e corresponsabilità
piena tra donne e uomini.
Si potrebbero discutere altri
esempi analoghi. In generale,
soprattutto dopo che la bozza dello statuto,
frutto del lavoro della commissione statutaria,
venne inviata ai gruppi e a tutti gli organi del-
la Federazione e ci si avvicinava all’Assemblea
Nazionale di Rimini, in cui lo statuto sarebbe
stato discusso e approvato, cresceva la consa-
pevolezza che lo statuto avrebbe “costretto” la
Federazione nelle sue varie articolazioni a fare
i conti con la propria identità e con le dinami-
che della propria vita interna. Prassi, regole,
finalità, obiettivi dati per scontati adesso si ri-
presentavano come opzioni da confermare con

determinazione e cui dare un senso rinnovato
alla luce della realtà e del tempo in cui la FUCI
era chiamata ad operare.

L’approvazione a Rimini e il futuro

L’Assemblea di Rimini del 2001 fu una festa
allegra, partecipata, gioiosa e profonda, vissu-
ta in un clima caldo e accogliente splendida-
mente preparato dal gruppo locale. Lo statuto
fu approvato senza tante obiezioni e con pochi
cambiamenti sostanziali. Lo statuto,
tuttavia, non diceva tutto sulla FUCI, lo
sapevamo bene, né avrebbe potuto far-
lo. Anche su questo un esempio balza
alla memoria con maggiore nitidezza.
Qualcuno obiettò che nello statuto non
viene mai citata la goliardia, nonostante
caratterizzi lo stile giocoso della Fede-
razione. La risposta che fu data da parte
di un delegato all’Assemblea nazionale
fu rivelatrice di un atteggiamento di
fondo che tutti dovevamo mantenere: la
goliardia non poteva essere disciplinata
da regole e principi di un documento
normativo, ma questo non voleva affat-
to dire che risultasse estranea alla vita
della FUCI. Lo statuto, in altri termini,
non poteva sintetizzare la ricchezza
della FUCI, che sarebbe stata sempre
eccedente rispetto alle regole scritte che ne di-
sciplinano la vita. C’era e ci sarebbe sempre stato
un “di più” non scritto dello spirito fucino, stra-
tificatosi e consolidatosi nel tempo, ricevuto e da
tramandare da una generazione all’altra per esse-
re costantemente rinnovato e attualizzato.
Del resto, lo statuto non poteva nemmeno rac-
chiudere la varietà e le diverse coloriture che
caratterizzano i gruppi. Molta parte dello statuto
così come del Preambolo, che fu approvato dal
Consiglio centrale successivamente all’Assem-
blea di Rimini, si concentra sulla definizione
di un metodo e uno stile di corresponsabilità e
partecipazione, improntati alla ricerca e all’ap-

profondimento critico in ogni ambito d’impegno
della FUCI: ecclesiale, spirituale, associativo,
universitario, politico. Sono valori che vengono
ribaditi più volte, ma che lasciavano e lasciano
ampio margine per un’ulteriore precisazione da
parte dei gruppi, che non sono solo un’articola-
zione della Federazione, ma ne costituiscono il
cuore pulsante.
Proprio la natura essenziale e in qualche misura
“aperta” dello statuto a specificazioni ad altri
livelli, regionale e lo-
cale, è forse la ragione
della sua validità ancora
oggi. In un contesto
universitario che in più
di vent’anni di riforme
da quella complessiva
della didattica del 2000
(la Riforma Martinotti)
appare assai più varie-
gato e diversificato che
nel passato, in un con-
testo ecclesiale in cui le
chiese particolari non
si lasciano uniformare
secondo un modello
centralistico, in un con-
testo politico nel quale
gli stessi partiti politici
sperimentano fortissime differenze a livello lo-
cale, la FUCI ha al proprio interno il compito
di scoprire quale contributo offrire alla Chiesa
e al mondo non solo nel panorama nazionale,
ma soprattutto nelle realtà particolari, dove si ha
maggiore possibilità di incidere concretamente.
In cosa possano consistere l’evangelizzazione
nell’ambiente universitario, la “fatica del pensa-
re”, la pratica della lectio divina a Catania come
a Padova, a Roma come a Fiesole è il compito
che lo statuto e il preambolo lasciano a tutti i
fucini, senza preconfezionare soluzioni. È un
compito non semplice né banale, al quale tutti
i fucini possono contribuire in modo creativo.