Mons. Bettazzi: la testimonianza e l’impegno per una Chiesa più giusta e solidale

Luigi Bettazzi nacque a Treviso il 26 novembre del 1923. Ordinato sacerdote ventitré anni dopo, si trasferì a Bologna dove si laureò in Teologia e poi in Filosofia. Ful’ultimo padre conciliare vivente, nel 1963 prese parte infatti al Concilio Vaticano II in qualità di vescovo ausiliare dell’arcidiocesi felsinea. Tre anni dopo fu nominato vescovo di Ivrea, dove restò per ben 33 anni.

Tanti di noi ricorderanno Mons. Bettazzi per il suo impegno nei movimenti giovanili, in qualità di assistente diocesano a Bologna e vice-assistente nazionale degli universitari cattolici della FUCI, e sempre accompagnatore e amico della nostra Federazione con il cuore e lo spirito anche da lontano; qualcun altro per l’impegno schietto e coraggioso per la pace in ambito internazionale, che l’ha portato a dialogare con le forze politiche e al famoso carteggio con Enrico Berlinguer; numerosissimi inoltre come presbitero prima e vescovo poi, nelle sue carissime città di Bologna e Ivrea. Oggi, in occasione della celebrazione dei suoi funerali, vogliamo far riecheggiare qualche sua parola, perché siano eredità spirituale per noi giovani universitari e non solo. 

Con la morte dell’ultimo testimone diretto del Concilio Vaticano II, si apre ancora più chiaramente il momento di prendere atto che abbiamo in mano la piena responsabilità di raccoglierne le istanze e proseguire con la sua attuazione. A quel tempo c’era una grande attesa, ci disse Mons. Bettazzi in un’intervista rilasciata proprio per la FUCI nel 2012, a 50 anni dall’apertura del Concilio, c’era la percezione che «se cambia la Chiesa Cattolica possiamo cambiare tutti». Il mondo aspettava questo grande impulso che poteva dare la Chiesa. Lo aspetta ancora? O si è ormai stancato di attendere un cambiamento che sembra avvenire a rilento? Mons. Bettazzi ci ha dimostrato che è possibile camminare nella vita seguendo i segni dei tempi, e la ricetta per riuscirci è ispirarsi costantemente al Vangelo, senza affezionarsi troppo alle incrostazioni della storia e della tradizione, che mutano a seconda del contesto culturale e delle sfide sociali. In una società in cui la dimensione religiosa dell’uomo è più spesso strapazzata o stereotipata che approfondita e valorizzata, «la vera distinzione non è più tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti», amava infatti ripetere, riprendendo l’affermazione di Norberto Bobbio. 

Il Concilio stesso fu programmaticamente pastorale, non dogmatico: «sappiamo qual è la verità, ma l’obiettivo è capire come raccontarla, farla capire e farla vivere dalla gente di oggi», ci disse. Sempre in quell’occasione, sottolinea la necessità di imparare a vedere e vivere la gerarchia ecclesiale come ministero, servizio al popolo di Dio: «Il popolo non ha ancora quel primato che dovrebbe avere, si pensa ancora troppo alla gerarchia». Spiegava il valore della laicità, intendendola non come anticlericalismo ma compartecipazione di tutta l’umanità alla costruzione della Chiesa come membra di un unico corpo, in cui ciascuno fa la sua parte e nessuno predomina sugli altri; riprendendo anche le parole di Padre Benedetto Calati: «per capire il concilio bisogna entrare nello spirito della Dei verbum, cioè l’umanità che è in ascolto della parola di Dio, che è presente attraverso la Bibbia, e noi capiamo cosa vuol dire all’umanità e quindi cosa Dio vuol dire anche a me».

In un suo libricino dal titolo Il concilio, i giovani e il popolo di Dio, scrisse che i problemi dei giovani sono «il senso della loro identità» e «il senso dell’apertura agli altri». Alla luce del Concilio, spiegò che le due prime costituzioni ci danno l’identità: «tu sei a tu per tu con Dio in Gesù Cristo». E l’apertura agli altri è nella Chiesa, popolo di Dio, e nell’umanità che cammina verso il regno di Dio.

Per mons. Bettazzi il principio fondamentale è quello della solidarietà, della solidarietà ai più poveri. Poiché, «anche i principi che si presentano come non negoziabili, in fondo devono essere presentati come principi di solidarietà con le persone più deboli, quelle che non possono difendersi». È fondamentale che chi difende la vita all’inizio e alla fine se ne curi anche nel mezzo, perché «se poi non ti interessa che i poveri diventino sempre più poveri o i giovani non abbiano avvenire, rischia che la difesa che fai della vita all’inizio e alla fine diventa ideologica».

In piena coerenza con lo stile di Papa Francesco, già nel 2012 disse che «al giorno d’oggi la nuova evangelizzazione è la testimonianza che la Chiesa dà di essere più povera e più solidale con i poveri». Insieme a lui, noi giovani della FUCI vogliamo poter dire sempre più che «la Chiesa mi insegna, mi dà l’esempio e mi aiuta ad aprire la mia vita ai grandi valori, ai grandi ideali, alla pienezza dell’amore a Dio e verso gli altri, soprattutto i più poveri e i più in difficoltà». Facciamo nostro il suo augurio, che è anche un impegno per noi da assumere, una dichiarazione di intenti: «che la Chiesa possa sempre più mettersi in questa strada!».