INTERVISTA A GIULIO CONTICELLI

Giurista e storico del diritto, presidente della Commissione ministeriale 
per l’Edizione nazionale delle opere di Giorgio La Pira. 
È vicepresidente della Fondazione “Giorgio La Pira” di Firenze e 
dell’Istituto storico della resistenza in Toscana. 
Partecipa alla redazione di «AEC – Bollettino dell’amicizia ebraico cristiana» 
e di «Archivi di psicologia giuridica».
È stato presidente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale 
ed è membro del Consiglio scientifico della Fondazione Fuci di Roma.

a cura di Allegra Tonnarini e Gabriele Cela

Si riporta l’intervista al professor Giulio Conticelli, vicepresidente della Fondazione Giorgio La Pira, sull’eredità del pensiero lapiriano sul tema della pace.

La riflessione di La Pira sul tema della pacesi intreccia profondamente alla questione della politica internazionale. Ragionando sul rapporto tra sovranità nazionale e sovranità internazionale, La Pira sostiene l’idea di una “comunità internazionale che precede lo Stato”, di una “famiglia delle genti umane” come condizione necessaria a un ordinamento che assicuri la pace tra i popoli. Quale modello di integrazione internazionale contrappone La Pira al nazionalismo, per promuovere la convivenza pacifica tra i popoli?

Nella biografia di La Pira va evidenziata, per quanto riguarda ogni avvenimento, la distinzione tra una storia interna, personale, e una storia esterna, da cui possiamo estrarre i principi che orientavano le azioni del politico fiorentino all’interno dei mutamenti storici. Partiamo dalla storia interna delle riflessioni sull’ordinamento internazionale. Occorre ripercorrere tre passaggi fondamentali. Il primo è il momento dell’occupazione della Polonia da parte di Hitler, il secondo la fase dell’immediato dopoguerra e del suo impegno costituzionale, il terzo, nel momento conclusivo della sua vita, la Dichiarazione di Helsinki, in cui operò ampiamente perché l’Europa fosse vista in modo unitario. Questi momenti corrispondono a tre fasi diverse del pensiero di La Pira.

La prima fase ci impone di andare a rileggere le pagine sulla guerra scritte da La Pira a partire dal 1939 su «Principi», rivista che riuscì a pubblicare all’indomani della promulgazione delle leggi razziali. La Pira trasformò il suo impegno religioso, storico e accademico in un impegno politico diretto, proprio all’indomani delle leggi razziali, quando nella sua Facoltà di giurisprudenza vennero a mancare Federico Cammeo e altri docenti dell’ateneo. A partire da quel momento, ci fu una risposta di obiezione di coscienza al regime fascista e a quello che proveniva dal contesto nazista tedesco.

La vicenda dell’occupazione della Polonia del 1939 portò La Pira a esaminare il senso dell’ordinamento internazionale a partire da tre principi. La formazione di La Pira aveva una componente romanistica, dovuta alla sua cultura e conoscenza del diritto romano, una componente di riflessione filosofica metafisica e una componente di ispirazione religiosa che aveva forti ascendenze sia nella tradizione biblica veterotestamentaria, sia nella patristica. In questo periodo, La Pira si interrogò molto, a partire da queste fonti, sul principio del vim vi repellere licet: cioè se sia legittimo rispondere alla violenza con la violenza. La Pira aveva chiaro che la vita storica è piena di conflitti e non ne negava la presenza. La storia gli aveva spiegato come il diritto romano fosse il modo razionale per giungere a controllare la violenza.

Nel suo primo intervento sulla Polonia, La Pira contestò la legittimità dell’azione nazista, sulla scorta delle fonti del diritto romano ripreso attraverso s. Tommaso e i teologi giuristi del Cinquecento della seconda Scolastica. Non si tratta solamente di un aspetto culturale, ma della ricerca di alcuni principi giuridici dell’ordine della comune famiglia umana, in particolare rispetto al tema della guerra tra nazioni cristiane.

Il secondo elemento che emerge già in questa fase è un principio metafisico, filosofico, che chiarisce che l’essere della persona è un valore assoluto rispetto al non essere di cui la morte è il segno ultimo. Il terzo passaggio è l’insegnamento dei padri, come s. Agostino, sui limiti assoluti dell’esercizio della violenza: una teologia del mondo in cui la violenza non ha alcun segno di sacralità.

La seconda fase, dopo la fine della guerra mondiale, è quella dell’impegno nel costituzionalismo postbellico: il contributo di Giorgio La Pira è nell’individuazione della persona umana quale punto di fuga prospettico di tutti gli altri aspetti della Carta costituzionale. L’unica unità sostanziale è la persona umana, mentre ogni altra realtà è un’unità funzionale, un’unità di ordine subordinata alla tutela della persona umana. È una distinzione la cui radice viene da lui rinvenuta in alcune fonti di s. Tommaso, ma che è poi frutto di una sua rielaborazione.

Dalla persona umana scaturiscono dunque tutte le altre realtà: le nazioni, il nucleo familiare, le entità associative sono tutte realtà funzionali all’essere della persona umana e quando queste si rivolgono in un non-essere della persona umana, perdono di legittimità. L’uomo, in primo luogo, è membro della famiglia umana, della famiglia che raccoglie tutti gli esseri umani senza distinzioni. Anche la Chiesa, sotto il profilo societario, è un’unità d’ordine funzionale alla persona umana.

Se il primo soggetto dell’ordine internazionale non è la nazione, ma la famiglia umana, ne consegue anche l’illegittimità di una guerra di distruzione totale e di affermazione del principio del non essere, come la guerra nucleare. Di qui, oltre al sostegno delle organizzazioni internazionali, anche l’attenzione che ebbe,
nell’ultima fase della sua vita, al patto di Helsinki e alla costituzione di una comunità europea di stati per il loro sviluppo che andava dall’Atlantico agli Urali. Il principio di fondo è la necessità che il diritto internazionale tuteli sempre la persona umana subordinando a questo scopo ogni altro elemento. Questo implica un capovolgimento della logica del diritto internazionale come logica degli stati sovrani e una definitiva esigenza di sviluppo del pensiero del diritto dei popoli come componenti di un’unica famiglia e strumenti perché la persona umana viva la propria esistenza nel nome dell’essere.

La Pira svolse un ruolo fondamentale nel processo costituzionale, individuando nella dignità umana il fondamento universale e intangibile dei diritti e dei doveri degli uomini. Ma fu anche, tra gli attori politici degli anni della Guerra fredda, colui il quale cercò,più di tutti, di promuovere la mediazione e il dialogo con il mondo sovietico. Come coniugare la difesa dell’universalità dei valori della vita e della dignità umana, e la mediazione culturale tra popoli con identità, culture e storie politiche differenti?

Io credo che anche questo debba essere osservato nella storia interna di La Pira seguendo diverse fasi. La Pira si interessò alla Russia sin da giovane, perché la Russia costituiva già a quel tempo un quesito sull’identità europea. La vicenda della rivoluzione bolscevica fu vista e analizzata da La Pira nella seconda fase, dopo la guerra, quando si andò a costituire la Costituzione italiana. Fra le sue fonti, c’erano anche le considerazioni dei valori sociali che la rivoluzione bolscevica aveva portato avanti e i riferimenti alla Costituzione sovietica. Non dimentichiamo che tra le fonti, oltre a quella di Weimar ovviamente, ci fu particolare attenzione a quello che era avvenuto nell’area est dell’Europa e, ovviamente, l’attenzione a quello che era stato il prosieguo della rivoluzione maoista e nella vicenda cinese.

Con il dramma della Guerra fredda, ci troviamo di fronte alla riapplicazione degli stessi principi dell’impossibilità di proseguire la guerra fra popoli cristiani. Lucidamente La Pira trovava nella radice cristiana dei popoli che si estendono fino agli Urali la ragione dell’appartenenza comune all’Europa. Egli non era condizionato, nonostante lo studio del diritto romano, da una formazione latinocentrica, perché sapeva bene come il diritto romano fosse il diritto dell’Occidente, ma anche di tutto il continente europeo, compresa la parte orientale. Le radici del diritto romano, osservava La Pira, sono infatti strutturalmente cristiane. Questo lo portò, con il suo famoso viaggio in Russia, a contestare l’ateismo del regime comunista e a condannare il conflitto fratricida che dilaniava il continente europeo, accomunato dal diritto romano e dalle radici cristiane.

Grande fu l’attenzione di La Pira al tentativo di ricomposizione dell’unità della Chiesa cristiana. Credo che questo profilo vada approfondito per domandarci oggi se, dopo la caduta del muro di Berlino, siamo riusciti a costruire insieme l’identità europea dall’Atlantico agli Urali, attraverso un’elaborazione culturale e non soltanto sulla base delle leggi del mercato che sembrano essere state quelle che più hanno guidato in questi trenta anni il nostro continente.

Per La Pira il cristianesimo è fonte e ispirazione di pace per i popoli. Da sindaco di Firenze, organizzò i Convegni internazionale per la pace e la civiltà cristiana a cui invitava i rappresentanti di tutti le Nazioni con il fine di dare vita a una riflessione e a un lavoro comune per la promozione degli ideali di pace e di fratellanza. Però, come possiamo vedere nel triste scenario della guerra ucraina, la religione è spesso motivo o strumento di conflitto tra gli stati e all’interno degli stessi popoli. Quali passi da compiere oggi ci consegna l’insegnamento di La Pira, perché la religione sia seme di unità e di costruzione della pace? E qual è la lezione che possiamo imparare dagli insegnamenti di La Pira per evitare lo scoppio di conflitti nella vita quotidiana?

La storia europea ci ha indicato che sono avvenute molte guerre di religione, guerre cheusarono il pretesto della religione per mire di potenza secolare. Credo che questo sia l’insegnamento che dobbiamo trarre da tutta la storia europea e che ci invita ad andare oltre l’utilizzazione ideologica della religione come instrumentum regni.

Le religioni abramitica, ebraica, cristiana e islamica hanno una comune radice che ha avuto un suo sviluppo storico legato a circostanze e a culture diverse, e questo è il motivo che ci spinge a riconoscere in esse la radice della fraternità umana. Nel momento in cui questo principio della fraternità umana viene utilizzato come strumento per la difesa di posizioni di potere, esso esce completamente dal valore religioso perché è passato dal piano dell’esperienza religiosa al piano dell’esperienza politica che utilizza la religione.

Le esperienze che ci hanno segnato, in questo dopoguerra, quali le organizzazioni di promozione della pace da parte delle religioni, o i segni che abbiamo avuto ad Assisi come inizio di un grande percorso che non abbiamo completamente compreso, credo ci dicano che oggi le religioni sono state marginalizzate o strumentalizzate. Dall’altro lato dobbiamo comprendere e favorire l’identità non solo delle diverse religioni, ma anche delle diverse confessioni cristiane: il cristianesimo ortodosso, il cristianesimo latino, il cristianesimo mediorientale.

Il punto fondamentale è avere chiaro che si tratta di operazioni di strumentalizzazione politica della religione. Per questo può essere utile leggere bene Savonarola insieme a Machiavelli. Bisogna comprendere come il potere utilizza la religione.

Nel 1967 usciva la Popolorum progressio, in cui Paolo VI riconduceva il tema della pace alla questione della giustizia sociale e dell’uguaglianza nell’accesso alle risorse economiche, sociali e culturali. La guerra non è mai conseguenza solamente di un contesto politico, ma investe questioni sociali, culturali, storiche, ecc. Quali cause La Pira individua alla radice dei conflitti e della guerra tra i popoli?

Secondo La Pira, c’è una bussola infallibile per trovare il giusto sentiero, i poveri sono il punto polare, il Nord, rispetto al quale si trova il sentiero da percorrere. Nell’immagine cristiana del povero, vi è la dignità della persona umana che è priva di beni, ma anche l’individuo bisognoso di attenzioni. Sulla base di questo criterio, si fonde l’ispirazione biblica e il principio razionale che spinse La Pira ad approfondire le statistiche economiche.

La dottrina sull’Assunzione di Maria, approfondita dal Pontefice Pio XII, viene attentamente letta ed esaminata da La Pira che, a questa, dedica il suo unico scritto teologico in cui tratta del valore del corpo umano. Questa non è un’affermazione astratta, bensì una premessa teologicamente articolata e razionale secondo la quale ogni persona, nei suoi bisogni e nella sua corporeità, è l’Assoluto.

Il dato interessante è che mentre scriveva questo trattato teologico, La Pira aveva sulla scrivania le statistiche dell’Onu sulla condizione dei poveri nel biennio 1948-49. Questo a significare che non si può scrivere un trattato di teologia se a fianco non si hanno i dati sulla condizione dei poveri come punto di riferimento. Se non si conoscono i poveri, non si può comprendere interamente neppure il mistero dell’Assunzione di Maria.

Questa particolare capacità si era sviluppata in La Pira nel dopoguerra. Ognuno di noi, durante la sua vita, attraversa dei processi formativi; uno dei processi formativi di La Pira è stata l’esperienza della San Vincenzo de’ Paoli, la vicinanza ai poveri, sperimentata anche nei gruppi Fuci di allora.

Nella Firenze del dopoguerra, La Pira divenne presidente dell’Ente comunale di assistenza, nominato dapprima dagli Alleati e dal Cln, attività che lui continuò anche quando venne eletto sindaco perché convinto che la conoscenza profonda dei bisogni dei poveri fosse necessaria alla ricerca delle risorse e delle soluzioni concrete. La povertà è considerata da La Pira una condizione umana che deve essere sostenuta attraverso risorse proporzionate ai bisogni della persona; principio, questo, che poi estese anche alle sue riflessioni sulle grandi aree sottosviluppate del Terzo Mondo, passando dai poveri della città ai poveri del mondo.

Un anno fa entrava in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Le armi nucleari sono oggi strumento non di deterrenza alla guerra, ma piuttosto di minaccia per consentire politiche di espansione aggressive. Quale eredità ci consegna il pensiero di La Pira sul tema del disarmo nucleare? La Pira propose che i fondi investiti nell’armamento nucleare venissero incanalati in politiche economiche a sostegno e per la promozione del terzo mondo. Perché questa ambiziosa e generosa proposta non è ancora stata messa in atto?

Ci troviamo nella fase della vita di La Pira dopo lo scoppio della bomba atomica di Hiroshima. La Pira, di fronte a questo evento drammatico, comprende che si è fatto un salto storico che non ci consente di utilizzare gli stessi termini quando parliamo di “arma” come strumento del “vim vi repellere licet”, e quando parliamo invece di arma nucleare che non distingue fra i destinatari, fra la forza militare avversaria da dover superare per difendersi dalla violenza e la condizione umana ordinaria che viene chiamata dal diritto umanitario “popolazione civile” e che deve invece essere sempre protetta. L’atomica non distingue, cioè, tra i civili e i militari, ed esce dall’ambito semantico dell’arma, per diventare la nullificazione, il condurre al nulla.

La posizione di La Pira su questi temi e sulle problematiche del “diritto internazionale” va dunque riferita alla prospettiva di fondo che orientava le sue riflessioni e cioè che con il nazismo, i totalitarismi del Novecento e la guerra nucleare non si può più parlare di una guerra, ma dell’attuazione del principio del non essere rispetto all’essere.

Dobbiamo avere il coraggio di andare a rileggere gli scritti di La Pira degli anni Cinquanta e confrontarli con la riflessione di un allievo di Heidegger, Günther Anders, con cui La Pira intrattenne il suo impegno contro il nucleare, il quale ha posto il problema del nucleare nel rapporto fra essere e non essere, in quanto mezzo che diventa elemento di distruzione totale. Se non recuperiamo consapevolezza, sul piano filosofico e culturale, di questa prospettiva nichilista, non arriveremo ad affermare l’esigenza umana di escludere dalla dimensione del diritto bellico la guerra nucleare, in quanto distruzione di tutto. La consapevolezza che la cultura nichilista è alla radice dell’uso di questi strumenti deve condurci ad affermare l’impossibilità dell’utilizzo delle armi nucleari. Questo perché anche il diritto bellico deve avere un fondamento filosofico e, se lo si trova nel nichilismo, si potrebbe arrivare ad accettare anche la guerra nucleare.

L’idea di pace spinge La Pira ad avviare importanti iniziative come il “Convegno dei sindaci di tutte le città del mondo” e i “colloqui di pace del Mediterraneo”. Oggi, in Italia, nella realtà politica e nella società civile è ancora viva la sua eredità pacifista?

In Italia è cambiato il contesto dell’organizzazione partitica, prima vi erano dei canali privilegiati di approfondimento. Oggi nel nuovo contesto, il pensiero di La Pira può essere d’ispirazione se approfondito e letto, ma soprattutto se se ne traggono i principi e non i riferimenti specifici che, in alcuni casi, possono ormai risultare obsoleti.

Pensiamo alle problematiche attuali della comunicazione, pensiamo alle problematiche ambientali: sono questioni che stanno emergendo negli ultimi anni.

Un lavoro utile può essere l’organizzazione di gruppi diversi, che cerchino, cogliendo ciascuno un aspetto diverso, di applicare i principi e rapportarli alle situazioni concrete. Questo richiede un grosso sforzo di cultura politica, che è mancato nella cultura politica europea dalla Francia agli Urali, nella culturapolitica italiana dalle Alpi alla Sicilia, e nella cultura politica mediterranea, di cui l’Europa fa pienamente parte.

In Italia, un grosso sforzo che può essere realizzato, e di questo la Fuci può essere protagonista, è l’istituzione di un’università telematica che, attraverso dei corsi con una certa continuità, eventualmente riconosciuti da Atenei patrocinanti, possa sistematicamente approfondire il pensiero di La Pira, insieme al pensiero di Moro e degli altri pensatori politici europei, per formare i giovani e indirizzarli alle scelte della vita.