UN’ANALISI DELL’ARTICOLO 11

 di Lorenzo Cattaneo
PRESIDENTE NAZIONALE MASCHILE DELLA FUCI
STUDENTE DI GIURISPRUDENZA PRESSO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO

I lavori che hanno portato alla redazione definitiva dell’articolo 11 sono stati molto impegnativi e hanno visto discutere le più distanti forze politiche presenti nell’Assemblea costituente. Negli occhi dei deputati erano ancora presenti gli oltre 60 milioni di morti causati dalla Seconda guerra mondiale e gli scontri fratricidi che hanno sparso sangue nel nostro paese nei decenni precedenti. I padri costituenti hanno voluto redigere una norma che mettesse fine a questa continua alternanza di pace e di guerra che da sempre ha caratterizzato la storia dell’uomo. L’articolo 11 della Costituzione italiana recita:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Per comprendere al meglio la ratio di questo articolo è necessario, in primis, fare riferimento ai lavori preparatori del testo costituzionale e analizzare, poi, gli altri articoli della Costituzione che contribuiscono alla lettura sistematica dello stesso. È, inoltre, fondamentale per quanto disposto dall’articolo 10¹e dalla parte finale dell’articolo 11 prendere in considerazione anche le norme dei trattati e del diritto internazionale alla quali la Repubblica italiana è oggi vincolata.
«La guerra, questa follia, questo crimine che sempre ha perseguitato nei secoli l’umanità, perché l’umanità è stata sempre lontana, ed è ancora lontana, da quella forma di civiltà che sia veramente degna dello spirito umano, noi vogliamo eliminarla per sempre, e quindi rinunziamo a questi mezzi di conquista, perché riconosciamo che tutti i contrasti, che qualsiasi contrasto, per quanto grave, per quanto aspro, può sempre essere risolto col ragionamento, poiché il ragionamento — dobbiamo riconoscerlo — rappresenta l’arma più poderosa dell’uomo. Noi rinunziamo alla guerra; non vogliamo più sentirne parlare. Vogliamo lavorare pacificamente; non vogliamo più la violenza. E quest’odio alla violenza, questo odio alla guerra sarà appunto l’orientamento nuovo del popolo. Ci può essere il pugno nell’occhio; ma il pugno nell’occhio non fa onore a chi lo dà; e chi lo riceve potrà difendersi: allora è legittima la sua difesa. Però dobbiamo sostenere sempre la negazione dell’atto di violenza, bisogna sentire a ripugnanza più acuta per l’atto di violenza. E questo è il compito della nostra scuola: educare gli uomini alla concordia, facendo nascere e fiorire nel loro animo l’odio per qualsiasi forma di sopraffazione. Nelle scuole militari tedesche vi era prima di ogni altra cosa la cultura militare e s’insegnava che bisognava trovare tutti i mezzi per distruggere il nemico, per conquistare sempre nuovi territori. Ma lasciamo stare queste scemenze, che sono veramente indegne di un nuovo mondo civile»².
Queste parole dell’on. U. Damiani aiutano a comprendere il convinto ripudio della guerra quale strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Nel suo intervento, egli riconosce anche l’imperfezione del mondo e che una serie di eventi possano portare il nostro paese a essere attaccato e a dover quindi reagire all’aggressione. Riconosce, dunque, la possibilità di una difesa legittima e un uso possibile delle forze armate a scopo difensivo.
La nostra Costituzione afferma che la guerra non è uno strumento da utilizzare per far valere le proprie ragioni, anzi è necessario compiere sacrifici, anche rinunciando, in condizione di parità con gli altri stati, a parte della propria sovranità in nome della pace e della giustizia tra le nazioni. Nel caso in cui, invece, si sia vittima di un attacco e sia, dunque, necessario difendersi, la lettura dell’articolo 11 in combinato con il 52 e il 78, permette una difesa armata. L’articolo 52 afferma che ogni cittadino è chiamato al “sacro dovere” di difendere la Patria e che il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge. L’articolo 78 invece fa riferimento alle procedure per la decretazione della condizione di guerra. L’impiego delle forze armate e l’avvio di uno scontro armato, essendo disciplinato dalle stesse norme della Costituzione, è dunque lecito.
Anche la Dottrina Sociale della Chiesa si occupa del tema della promozione della pace. «Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,2-5). L’era messianica, nei passi dell’Antico Testamento, è descritta come un mondo nuovo di pace, in cui gli strumenti della guerra diventano utensili con cui produrre cibo per sfamare i fratelli. È un chiaro indirizzo che ci viene dato: è nostro dovere impegnarci per la pace. I numeri 497ss. del Compendio della Dottrina Sociale e i numeri 2265ss. del Catechismo affrontano il drammatico caso in cui gli sforzi per la pace falliscano e si avvii una guerra. Anche per la Chiesa la legittima difesa con l’impiego della forza è giustificata, ma solo a poche condizioni da applicare severamente:
  1. il danno da parte dell’aggressore deve essere certo, grave e permanente;
  2. non ci sono altre strade per impedire il danno causato o per revocarlo. Devono essere esaurite tutte le possibilità pacifiche di soluzione del conflitto;
  3. le conseguenze dell’uso delle armi per la difesa non possono essere peggiori del danno causato dall’aggressore. Su questo punto sono da tenere in particolare considerazione le conseguenze disastrose di uso delle armi di distruzione di massa;
  4. la difesa deve avere una possibilità realistica di avere successo.

Negli scontri armati in cui non è l’Italia a essere direttamente aggredita, è possibile un intervento armato senza violare la Costituzione e dunque il diritto internazionale? Nella costruzione dell’articolo 11, la repressione degli scontri armati è affidata alle istituzioni internazionali: «promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». L’Italia è firmataria della Carta delle Nazioni Unite, aderente all’Unione Europea e alla Nato e tenuta a seguire le norme del diritto internazionale consuetudinario ai sensi dell’articolo 10. Spetterebbe, dunque, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite intervenire per sedare un conflitto. Questo organo, a causa dei veti incrociati delle nazioni che lo compongono, è inefficace. È lo stesso articolo 51 della Carta, allora, ad affermare: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale […]». Gli articoli successivi rendono possibili, inoltre, degli accordi regionali volti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, purché siano conformi ai fini e ai principi delle Nazioni Unite. Un esempio è il Patto Atlantico che ha portato alla formazione della Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord – Nato di cui l’Italia fa parte.

Secondo tale accordo, il nostro paese ha il dovere di intervenire in difesa degli altri stati firmatari se fossero attaccati. Lo si può definire come un patto di difesa reciproca. Nel caso dell’aggressione armata della Russia, avvenuta nel febbraio 2022, contro l’Ucraina è bene sapere che quest’ultima non è aderente né alla Nato, né all’Unione Europea e, pertanto, in capo all’Italia non vi è alcun obbligo di intervento.

È possibile, allora, inviare armi all’Ucraina o decidere di intervenire militarmente rimanendo nel rispetto delle norme del diritto internazionale? Sì. L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite prevede, infatti, che la legittima difesa possa essere esercitata anche in maniera collettiva. In altri termini, le azioni militari necessarie per respingere un attacco armato possono essere operate anche da stati non coinvolti inizialmente nel conflitto. Tuttavia, l’esercizio del diritto di autodifesa collettiva, da parte cioè di stati terzi, esige una richiesta di aiuto da parte dello stato attaccato. Una aggressione armata viola, innanzitutto, l’interesse dello stato aggredito alla salvaguardia della propria integrità territoriale. È dunque giustificata una reazione volta a ripristinare la sovranità territoriale. In secondo luogo, un attacco viola anche l’interesse alla stabilità del sistema di tutti gli stati della comunità internazionale. Nel caso ucraino, nessuno può obbligare l’Italia a intervenire, ma, sicuramente, l’Ucraina è una parte aggredita dalla Russia e, quindi, è altrettanto vero che nessuna norma lo impedirebbe, avendo ricevuto più volte la richiesta di aiuto da parte dell’Ucraina.

«Tuttavia, in caso di estrema necessità, qualora ogni altro mezzo si sia rivelato impraticabile, non si può negare ai popoli quel diritto alla legittima difesa che non si nega neppure ai singoli uomini. Per motivi analoghi è consentita l’ingerenza umanitaria armata da parte di un paese neutrale o di un’istanza internazionale, per mettere fine a una strage crudele tra due fazioni o due popoli in lotta. L’intervento armato dovrà in ogni caso essere proporzionato ai beni da salvaguardare e limitato agli obiettivi militari».

Così recita il numero 1038 del Catechismo degli adulti La verità vi farà liberi (1995) della Conferenza Episcopale Italiana. Questo testo, dopo aver condannato in modo netto la guerra, definendola «il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti», non nega la possibilità di una legittima difesa e la possibilità di soccorso allo stato aggredito anche da parte di paesi terzi.

 

  1. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
  2. Intervento dell’on. Ugo Damiani, durante i lavori dell’Assemblea costituente, 8 marzo 1947