“LEGGIAMO LA CITTÀ”, OLTRE LA “GESTIONE PARCELLIZZATA”. Appunti di due giorni con la FUCI
di Matteo Jarno Santoni
Due giorni di preghiera e studio sul ripensare le città e gli spazi urbani in cui l’uomo si afferma con forza come naturaliter sociale.
Quella promossa dalla Federazione universitaria cattolica italiana è stata un’occasione di riflessione in un periodo, quello pandemico, che ha visto al centro del dibattito politico e scientifico l’idea di città: dimensione di convivenza effettiva – fatta di vie, piazze, centri e periferie – e, al medesimo tempo, ideale.
Luogo, come ha ricordato l’onorevole Orlando, eterno, a differenza degli stati nazionali soggetti al mutare continuo della geografia, della politica, delle forme di governo.
È la civitas, come affermato dalla presidente nazionale A. Tonnarini in apertura del Modulo formativo, a proporsi come «risposta alternativa all’erranza e al nomadismo». La dimensione della vita urbana richiama a investire l’impegno di ognuno oltre la mera «gestione parcellizzata», attraverso l’azione e la contemplazione, per vivere una piena cittadinanza cristiana alla quale noi universitari cattolici siamo chiamati.
Già dalla prima testimonianza dell’architetto G. Salimei – docente presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” – si è compreso un ulteriore aspetto centrale nell’impegno e nella nostra azione di cittadini: lo studio. Uno studio che, nel caso della professoressa, è orientato a riqualificare, migliorare, rendere
più vivibili e, spesso, più umane le periferie.
Ogni disciplina esige l’approfondimento dei problemi e deve essere studiata come strumento per interpretare il proprio tempo, le sue necessità e urgenze. Emblematico è stato l’esempio della riqualificazione di quella gigante, ma drammatica, macchina dell’abitare che è il Corviale di Roma: una condizione di autentica ghettizzazione e grave illegalità, sanata grazie allo studio e all’uso della tecnica. Il segretario nazionale, A. Di Gangi, ha evidenziato come Dio si prenda cura delle periferie anche attraverso chi le migliora e le ripensa. Un ripensamento che ha sicuro successo se sviluppato coerentemente con la storia dei centri e ascoltando gli abitanti, rendendoli proficuamente partecipi e costruendo un progetto che sia sincera interpretazione delle esigenze. Idea, studio e tecnica non appaiono disgiunte, ma affiancate e concorrenti al perseguimento di un unico scopo: la costruzione di una «città dell’uomo» (G. Lazzati), una città che ponga al centro la persona umana.
In un momento di riflessione, a margine della assemblea plenaria, si è animato uno stimolante scambio di vedute su un tema caldo di molte realtà italiane: i centri storici. Un tempo cuori pulsanti della vita urbana, oggi sono spesso contesti più periferici dei quartieri esterni: dove non si è convintamente sposata la stra-
da della valorizzazione del patrimonio, in essi alberga degrado e incuria. Essere consci della ricchezza che abbiamo – e che ci è stata consegnata da chi prima di noi ha abitato questo mondo – deve essere uno sprone alla tutela dell’identità dei territori. Il rischio è altrimenti una progressiva trasformazione dei territori in
non luoghi, spazi anonimi e senza radici.
Le radici sono dunque un elemento irrinunciabile per un ripensamento coerente della città. Ma a queste bisogna aggiungere le ali, come ci ha ricordato l’on. Orlando nel corso della tavola rotonda: con le sole radici si muore soffocati, con le sole ali ci si può perdere, non sapendo dove andare.
Ulteriore fattore di sofferenza che tanti dei presenti hanno percepito nella loro vita di cittadini e universitari è la vicinanza di molti piccoli centri alle grandi città. Le provincie prossime alle metropoli rischiano di diventare appendici dei grandi centri urbani, dormitori orbi di una pulsante vita di società che ha sempre caratterizzato il contesto urbano, nato, ricordiamo, sin da epoca remotissima dal luogo per eccellenza della condivisione, la piazza.
Lo scambio dei punti di vista e delle esperienze di persone provenienti dalle più diverse e lontane città d’Italia è la ricchezza della FUCI, luogo di impegno e formazione a una delle più alte forme di servizio, l’esercizio della dimensione umana e ideale della politica, oltre la mera tecnica – o, per riprendere un’espressione sopra riportata, la “gestione parcellizzata” di ciò che ci circonda. Significativa testimonianza di ciò è arrivata dall’ing. E. Moggia e dalla dott.ssa Giulia Milani, della Comunità di Connessioni: due storie, le loro, legate alla politica locale, al servizio prestato alla comunità e all’impegno profuso per risolvere concretamente i problemi con l’appassionata partecipazione dei cittadini, nella convinzione che è doveroso restituire quello che la terra di origine ci ha dato, dando ciascuno il suo contributo, anche piccolo.
Un invito concreto, dunque, a una politica che non vada solo in direzione del cieco accaparramento di fondi, senza una solida progettualità alle spalle, ma che si occupi di ricucire i molti contesti urbani frammentati delle nostre realtà. Sono spesso in questa situazione centri cittadini estesi, complessi, dove coesiste una pluralità di realtà molto diverse tra loro. La città si evolve, si modifica ed è modellata da chi la vive, in una sua sempiterna immanenza (gli stati passano, le città sono eterne – giova ricordarlo).
L’onorevole L. Orlando ha portato l’esempio della sua Palermo, città di quello sconfinato continente d’acqua che è il Mediterraneo. Interclassista, universitaria ed esempio – ha spiegato – di città-campagna, dove le differenti estrazioni sociali si fondono e convivono: la festa di Santa Rosalia è occasione di riunione per tutti, anche per i non cristiani. La natura universitaria della città chiama a riflettere sul ruolo che l’istituzione universitaria dovrebbe avere nel contesto sociale e urbano: luogo aperto allo scambio con la società, fedele alla natura di universitas, attivo nella collaborazione tra i diversi atenei, come ha ricordato il Magnifico rettore della Libera Università Maria Santissima Assunta – LUMSA – Francesco Bonini. Con l’esempio di Palermo, si è tornati a discutere del tema del centro storico, che una stagione di delocalizzazione dei centri del potere e del sapere aveva reso inospitale e malvisto dai residenti. Una periferia posta dove non
si immaginerebbe: nel cuore della città. D’altronde, le periferie non sono tali solo per la configurazione urbanistica; esistono vere periferie esistenziali che il segretario della CEI, S.E. mons. Stefano Russo, ha ricordato come oggetto di impegno della Chiesa cattolica, che nel tempo di apatia e scoramento è chiamata a dare fiducia alle periferie e a quelle aree interne del nostro paese provate dai terremoti e da un progressivo e sconsolante moto di spopolamento. Anche la pandemia ha creato una periferia non geografica: rimanere a casa per evitare il contatto tra le persone, tanto importante per noi universitari, come rilevato dal lavoro della Commissione universitaria esposto nella giornata di domenica. Sono contesti che chiamano, a gran voce, i cristiani nel Cammino sinodale, un comune essere-nella-Chiesa, come qualcosa che è immerso nel mondo e che ne raccoglie i segni, illuminato dalla luce di Cristo.
La FUCI, ha ricordato il prof. Renato Moro, oltre a essere stata centrale per la formazione della classe politica cattolica, ha contribuito – con la sua peculiare capacità di stare nel mondo, di capirlo e di operarvi – a formare professionisti che hanno ricostruito il tessuto sociale italiano, dissestato dopo gli anni del fascismo, anche nella dimensione della cittadinanza attiva. Questo nella consapevolezza che la prima forma di servizio risiede nello svolgere con impegno quello che si sa fare, e perciò la formazione universitaria chiama a una particolare dedizione allo studio.
In un appunto del 1952 – conservato all’Istituto Sturzo –, Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, stendeva una scaletta telegrafica per il trentesimo congresso della FUCI tenutosi a Camerino.
Forte della sua esperienza come fucino dell’università di Roma e come presidente della Federazione (nel biennio 1942-44), scrisse della FUCI:
«[…] una famiglia. Chi non la prova capire non la può».
Ho impiegato molto poco a comprendere che la FUCI è un ambiente prezioso, dove si alimenta autenticamente quella condivisione che tanto è mancata nell’ultimo periodo – per gli universitari e gli studenti in generale – alla luce dei valori cristiani che tutti ci impegniamo ad assumere come stelle orientanti il nostro cammino di vita.
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