di don Andrea Albertin
Gerusalemme. Di notte. Un uomo, di nome Nicodemo, appartenente al gruppo dei dirigenti religiosi, cerca Gesù. Molto strano! Il rapporto tra quelli e il Maestro di Nazaret sembra non essere accompagnato dai migliori auspici.
Eppure, uno di loro vive una sorta di attrazione, un desiderio dirompente di incontrarsi con questo Rabbi capace di compiere segni e gesti che hanno il sapore e il tocco di Dio.
Notte e desiderio: anche nell’esperienza umana queste due dimensioni vanno spesso a braccetto. Alzando lo sguardo verso le stelle che ricamano l’ordito blu-notte del cielo, dal cuore scaturiscono i desideri più profondi.
Per Nicodemo, però, la notte è anche un alibi: appartenendo al gruppo di coloro che maggiormente si oppongono a Gesù, egli approfitta delle tenebre per passare inosservato, per non dover rendere ragione ai suoi amici e farla franca. In fin dei conti Nicodemo evita di esporsi, di prendere posizione. Ma come ogni notte, anche quella di Nicodemo è abitata dal desiderio: tende all’incontro personale con Gesù per sbarazzarsi del “sentito dire” grondante di pregiudizi e luoghi comuni; ricerca un oltre, un superamento della sua situazione, della sua condizione. Un superamento che sia affidabile, perché in grado di proiettare in avanti le scelte, i progetti, capace di far uscire da sé e dalle proprie visioni e interpretazioni, per riconoscere e accogliere l’opera di Dio dentro ogni vicenda.
Nella notte di Nicodemo è possibile scorgere il buio della pandemia, attraversato in questi ultimi due anni dal mondo intero. Nel desiderio di Nicodemo si può rintracciare la spinta al superamento provocata da quanto abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo.
Lo spazio della rinascita
Finalmente Nicodemo è davanti a Gesù, anche se di nascosto. Prende la parola: «Rabbi, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui» (Gv 3,2). Replica Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Sembra un dialogo tra sordi: Nicodemo parla di una cosa e Gesù sembra rispondergli parlando di tutt’altro. La conversazione continua all’insegna del fraintendimento da parte di Nicodemo.
L’annuncio di Gesù circa la necessità di «nascere dall’alto» è compresa da Nicodemo nel senso di “nascere di nuovo”. Questo perché l’avverbio greco utilizzato (anōthen) può essere compreso in entrambi i sensi. Nella conversazione Gesù accompagna Nicodemo in un cammino di purificazione, di discernimento, di essenzialità, così da sciogliere ogni fraintendimento e porsi sulla scia della rinascita che egli desidera donare.
Nascere dall’alto suggerisce la dimensione del dono, che il Gesù giovanneo associa in modo particolare allo Spirito Santo: «Il vento (pneuma, cioè lo Spirito) soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). La rinascita per opera dello Spirito Santo è accoglienza di un dono che sfugge e trascende le capacità e le competenze umane, di qualsiasi tipo esse siano: si tratta della relazione figliale con Dio Padre. Questo tipo di rapporto divino-umano si affaccia sull’esperienza umana e storica come un’offerta gratuita. Nessuno decide autonomamente di rinascere, di ricominciare, di ripartire se non solo dopo un evento, un incontro, un’esperienza, un’intuizione che ha i contorni esclusivi del dono. Tutto ciò non esclude nemmeno le situazioni drammatiche, che creano una crisi, una rottura, una messa in discussione di quanto già acquisito e raggiunto attraverso le proprie scelte, le proprie idee, i propri progetti. Essere generati e rigenerati incessantemente come figlie e figli del Padre implica adesione profonda a ogni accadimento umano dentro la storia. Parlare, per esempio, di rinascita come risposta alle conseguenze generate dal Covid-19 rinvia necessariamente a un’esperienza che non abbiamo scelto, ma che siamo stati chiamati ad attraversare.
Sentiamo l’impegno e la responsabilità di favorire una rinascita a vari livelli perché gli eventi della storia, paradossalmente, stanno richiedendo questo. Rinascere dall’alto, in rapporto all’esperienza vissuta e tutt’ora in corso, suscita un interrogativo imprescindibile: come gli eventi accaduti ci hanno reso figlie e figli del Padre?
La rinascita di cui parla Gesù è «dall’alto», manifestando, in tal senso, un legame particolare con lo spazio. Il dono della figliolanza divina raggiunge ognuno dentro gli spazi degli ambienti di vita per ridimensionare le pretese dell’essere umano e riconsegnargli la propria identità di creatura, chiamata a trovare l’essenza del proprio esistere nel rapporto di dipendenza libero e responsabile con il Creatore.
La rinascita dall’alto ridisegna gli spazi della quotidianità, portandoli al superamento della frammentarietà monista e dell’istante da consumare, per orientare all’integrazione, all’integralità. Il dono dall’alto non esiste per se stesso ma per incarnarsi in chi è impastato di terra, di “basso”, di realtà mondana.
Il tempo della rinascita
Mentre Gesù indica la rinascita come dono che anima lo spazio, Nicodemo capisce di dover nascere “di nuovo”: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?» (Gv 3,4). Comprensione fin troppo “letterale” da parte di questo capo giudaico, al punto da rasentare il ridicolo! Quasi che la rinascita coincida con una perpetua ripetizione del già noto, del fatidico “si è sempre fatto così”, del ritorno a quanto si faceva prima senza un’ombra di cambiamento. Rinascere di nuovo, nel contesto del brano evangelico giovanneo, fa riferimento a un atto preciso vissuto dalle comunità cristiane delle origini e di ogni tempo: il battesimo. Attraverso questo rito, la persona esprimeva pubblicamente una scelta, una presa di posizione a favore del Vangelo e della comunità di fede. Se per Nicodemo, quindi, questa rinascita è pensata come una riedizione della nascita biologica, è Gesù stesso a tenere insieme le due dimensioni, ossia rinascere dall’alto e rinascere di nuovo: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
Il dono dello Spirito, che viene dall’alto, esige un’adesione accogliente, espressa anche con gesti concreti, con scelte coerenti, con una partecipazione attiva, personale e creativa.
Rinascere di nuovo, pertanto, implica un legame con il tempo, entro il quale le scelte maturano, si purificano, evolvono, i processi si avviano, aprendo all’inedito e alla sorpresa.
Questa connessione con la dimensione temporale svela anche la progressività con cui si entra nei doni di Dio, per non diventarne mai proprietari ma sempre amministratori, ma anche perché saperli riconoscere non è immediato, esige pazienza, purificazione, discernimento.
E la rinascita spirituale?
L’incontro notturno tra Nicodemo e Gesù consente di mettere a fuoco la dimensione spirituale della rinascita2. La stagione che si profila all’orizzonte vedrà il mondo intero impegnato su molteplici fronti per promuovere processi di rinascita. Come espresso anche in una sua catechesi del mercoledì, papa Francesco ha affermato: «Ma ricordatevi: da una crisi non si può uscire uguali. O usciamo migliori, o usciamo peggiori». Come narrato nel brano evangelico, la rinascita non può essere un ritorno ripetitivo a quello che si faceva prima.
Accanto alle proposte politiche, economiche, sociali, mediche, ecologiche occorre pure sollevare la questione della rinascita spirituale. In particolare, della spiritualità intesa come «vita secondo lo Spirito ricevuto dall’alto » e non come mera interiorità, introspezione, riflessività pensosa.
Promuovere una spiritualità che coniughi la dimensione “dall’alto” con quella del “di nuovo” si prospetta un’interessante e quanto mai urgente sfida. In fin dei conti, si tratta di educarci nuovamente a riconoscere la presenza e l’azione di Dio dentro la storia, dentro ogni fatto storico. Contestualmente al periodo che stiamo attraversando, occorre nuovamente imparare a cogliere la presenza e l’azione divina anche dentro la sofferenza, il dolore, l’impotenza, il non senso. Imparare a riconoscere come queste esperienze dell’umano lavorano misteriosamente in ogni persona e la rendono figlia di Dio, cioè la introducono in una relazione con Dio che abbia i tratti della figliolanza, della fiducia di chi si lascia generare, nella propria identità, entro questa relazione che accade e cresce grazie agli e negli eventi storici, talvolta drammatici.
La rinascita “dall’alto” riguarda la singola persona ma, allo stesso tempo, la comunità civile, la comunità cristiana, la comunità della Fuci e così via. Per fare un esempio: il tempo della pandemia ha chiaramente fatto capire a tutti che siamo fragili, vulnerabili, deboli. In chiave spirituale come si traduce questo?
Credo che la dimensione della creaturalità sia quella che meglio traduce la consapevolezza acquisita. Siamo creature, sia come singoli, sia come comunità. La creatura non è un assoluto, perché dipende generativamente da Colui che l’ha voluta e le ha dato esistenza e forma. La creatura è finita, fatta di terra, di polvere. La creatura necessita di legami: con il creatore, in primis, ma pure con chi gli è simile. Da qui, lo stretto vincolo tra la creaturalità e la fraternità. Come stiamo costatando anche in questi mesi, da soli e isolati nelle proprie posizioni non è possibile uscire con sicurezza dall’emergenza. Non solo: uscire insieme dalla pandemia è da intendere sia in senso relazionale, sia in senso “sistemico”.
Creature che si legano nella fraternità per favorire la dimensione integrale della persona e della comunità umana, attuando politiche economiche, sociali, sanitarie, ecologiche, culturali che non esasperino una dimensione a discapito dell’altra, ma le facciano progredire armoniosamente.
Ecco, allora, la rinascita “di nuovo” che, come suggerito dal testo evangelico, accentua l’adesione al dono dall’alto mediante scelte concrete di vita, di azione, di interventi, di promozione culturale e umana in grado di rispondere alle sfide del tempo e degli avvenimenti, aderenti agli interrogativi che le persone si pongono, capaci di suscitare domande che fanno scattare il dialogo e l’ascolto aperto e libero.
La rinascita spirituale a cui sta provocando il tempo dell’emergenza sanitaria interpella tutti per evitare il rischio di appiattirsi in una sola delle due dimensioni: o quella “dall’alto”, oppure quella del “di nuovo”. Riallacciare insieme le due prospettive è una missione esaltante, perché portatrice di quel superamento, che possiamo chiamare anche desiderio, rivelatore della significazione più profonda da ricercare negli accadimenti storici. Una rinascita spirituale, quindi, “del legame”.
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