di don Andrea Albertin

Il senso del digiuno

La pratica del digiuno e dell’astinenza da alcuni cibi può assumere, nel nostro contesto sociale e culturale, diversi significati. Spesso, infatti, queste due pratiche sono associate a forme di protesa, di contestazione, di denuncia a vari livelli (per sostenere una causa sociale, per dissentire a livello politico…), come pure per motivi estetici (la forma e l’aspetto fisici).

Qual è, tuttavia, il senso cristiano del digiuno? Perché, per invocare il dono della pace nel mondo, siamo invitati al digiuno?

La Scrittura associa sempre il digiuno alla preghiera e alla carità. Mosè, per esempio, per prepararsi all’incontro con Dio, vive il digiuno. Gesù stesso, prima di iniziare la sua missione, trascorre quaranta giorni nel deserto digiunando e pregando. Il digiuno cristiano, quindi, non è associato a forme di protesta né a motivi estetici: è un’opera penitenziale.

Il digiuno, infatti, tocca la dimensione fisica della persona, creando un vuoto, uno spazio libero nel corpo, rinunciando volontariamente e temporaneamente all’assunzione di cibo. In questo modo il credente è educato a entrare in relazione con Dio anche con il corpo. Proprio perché il rapporto di fede con il Signore non investe solo l’intimità, anche il corpo è coinvolto in questa relazione.

Con il digiuno, con la privazione temporanea del cibo, si intende purificarsi da qualsiasi forma di dipendenza, per dichiarare l’intenzione di dipendere da Dio, di mettere la relazione con lui al centro del proprio cuore. Con il digiuno, quindi, si riconoscono le forme di attaccamento disordinato presenti nella propria vita e si invoca la purificazione, la conversione, la liberazione dal Signore. Per questo, nella prassi attuale, il digiuno cui si è invitati dalla Chiesa in alcuni giorni dell’anno, riguarda non solo il cibo ma anche da altre forme di dipendenza e disordine interiore che hanno bisogno di conversione. Si può, pertanto, digiunare dall’uso esagerato dei mezzi di comunicazione, da forme eccessive nell’uso del denaro, dall’accumulo di beni superflui, dal fumo, da un vizio personale…

Tutto questo, nella Scrittura e nella tradizione cristiana, è associato alla preghiera e alla carità. Il digiuno come rinuncia e forma penitenziale non è frutto di uno sforzo della volontà personale. È una grazia da chiedere al Signore nella preghiera e da tradurre, poi, in gesti concreti di carità verso i fratelli. Per questa ragione il digiuno cristiano non è semplicemente un’opera personale e individuale, ma fortemente comunitaria. Posso, è vero, scegliere personalmente di digiunare, ma per offrire in carità, per esempio, quel denaro che avrei speso per cose superflue.

 

Digiunare per la pace, ricorda Gesù nel Vangelo, è un’arma, unita alla preghiera, per sconfiggere certi tipi di demoni. Ogni guerra è opera diabolica, perché questo è ciò che vuole il Nemico dell’umanità: distruggere, dividere, diffondere morte e dolore.

Con il digiuno e la preghiera non si protesta contro i mercanti della morte e i fabbricanti della guerra, ma si invoca da Dio la conversione del cuore: il proprio, prima di tutto. Perché ogni guerra inizia lì, nel cuore. È lì che siamo invitati a disinnescare ogni guerra, perché nel cuore di ognuno, occorre esserne consapevoli, è costantemente all’opera una lotta, che ne siamo consapevoli o meno. Si tratta della lotta tra la mentalità evangelica e la mentalità mondana, alimentata, quest’ultima, dalle seduzioni del Nemico. Con il digiuno e la preghiera impariamo a schierarci dalla parte del Vangelo: innanzitutto nel nostro cuore, affinché questo si diffonda.

Il digiuno per la pace, che non deve mai essere disgiunto dalla preghiera, è invocazione di perdono, di conversione per noi e per gli altri. È riconoscere la nostra impotenza e il bisogno di camminare sulle vie di Dio perché possa regnare la logica della pace e non della prevaricazione, della distruzione, della violenza, della morte.