di Gabriele Cela

Era il 1991 quando, in seguito alla dissoluzione dell’URSS, la Repubblica federata Ucraina proclamò la propria indipendenza, entrando a far parte della Comunità degli Stati Indipendenti, organizzazione internazionale con sede a Minsk, formata da dieci delle ex Repubbliche Sovietiche.

Da quel momento, l’Ucraina divenne uno stato indipendente, pur conservando forti legami culturali e sociali con la vicina Russia e in particolare con la capitale, Mosca.

Ciò nonostante, rapporti tra i due Stati non sono sempre stati sereni.

Nel 2004, in seguito alle elezioni presidenziali, scoppiò la rivoluzione arancione, partita da Kiev e estesa in seguito ad altre città ucraine, una protesta pacifica mossa dallo sconfitto Viktor Juščenko, candidato filo-occidentale, il quale denunciava irregolarità e brogli elettorali, invocando nuove elezioni.

La protesta si placò quando l’O.C.S.E. riconobbe l’irregolarità delle votazioni, il presidente filorusso eletto, Viktor Janukovyč, disconosciuto da Europa e U.S.A. e il suo Governo sfiduciato dal Parlamento ucraino.

 Il popolo, convocato alle urne per nuove elezioni, sancì la vittoria di Juščenko e delle forze filo-occidentali, un risultato schiacciante che portò in Ucraina un governo filo-occidentale.

Ma le nuove elezioni, indette allo scadere del mandato di Juščenko nel 2012, videro la vittoria di Viktor Janukovyč, che andò a ricoprire la carica di Capo del Governo in Ucraina.

Quella che era sembrata in un primo momento una sconfitta per il Presidente russo Vladimir Putin, dopo pochi anni si trasformò in una vittoria, grazie alla politica filorussa introdotta dal presidente neoeletto.

Nel 2013 Janukovyč si rifiutò di firmare l’accordo di associazione tra Ucraina e Unione Europea, confermando l’orientamento politico del suo Governo, decisamente sbilanciato in favore della Russia e apertamente antieuropeista.

Questo rifiuto provocò nuovi moti reazionari, forti proteste contro il Governo e manifestazioni in favore dell’Europa, che presero il nome di Euromaidan. Gli ucraini scesero in strada per denunciare la corruzione del potere e fecero resistenza, nonostante le leggi restrittive emanate dal Presidente nel tentativo di ostacolare i rivoltosi e le azioni di forza poste in essere contro i manifestanti. Di giorno in giorno la protesta dilagava e si alimentava, sempre più violenta. La fuga dell’ex Presidente, ormai destituito dal Parlamento, dopo circa tre mesi dall’inizio degli scontri, provocò la reazione della fazione filorussa, la quale indisse un referendum, non riconosciuto, decidendo l’annessione alla Russia.
L’Ucraina era ormai divisa tra le due ideologie contrapposte e gli scontri determinarono di fatto una guerra civile.
Nel 2014 venne eletto Presidente Petro Poroshenko, che spostò l’asse politico del paese verso l’occidente, firmando un nuovo accordo di associazione all’U.E. e manifestando l’intenzione di voler portare l’Ucraina nella N.A.T.O., un chiaro segnale di allontanamento dalla Russia di Putin.
Alle elezioni del 2019 il testimone filo-europeista venne raccolto dal suo successore Volodymyr Zelensky, attuale Presidente, che in questi giorni si trova a dover affrontare una delicata situazione, che rischia di esplodere in un’altra guerra.

La Russia, secondo alcuni osservatori geopolitici, sta cercando di destabilizzare il governo filo-occidentale ucraino, da quando, alla fine del mese di novembre 2021, ha iniziato a stanziare truppe lungo il confine ucraino con armamenti e mezzi pesanti, all’evidente scopo di inviare un messaggio intimidatorio all’Ucraina e all’Occidente e di riaffermare su quei territori la propria influenza politica, economica e soprattutto militare.

Dal versante russo arriva l’accusa nei confronti della N.A.T.O. e dell’Occidente, di voler interferire negli equilibri politici dell’Europa orientale, sottraendo alcuni territori all’influenza russa per spostare in avanti l’asse occidentale e allargare i propri domini sugli “stati cuscinetto” limitrofi alla Russia.

Di fronte al pericolo d’invasione e al rischio di una guerra, anche la N.A.T.O. si è mobilitata, inviando militari addestrati e truppe speciali nell’Est Europa per proteggere i territori confinanti con la Russia.

Mosca parla di esercitazioni militari verso la Bielorussia, che si protrarranno sino al 20 febbraio, ma di fatto, come osservato dal segretario generale della N.A.T.O. Jens Stoltenberg, si tratta del più grande spiegamento di truppe russe nell’area dai tempi della Guerra Fredda.

Evidentemente, osservano alcuni analisti politici, la Russia non accetta la presenza occidentale così forte, in uno stato su cui ritiene di poter ancora esercitare la sua influenza politica.

A nulla sono valse le rassicurazioni provenienti dalla Russia, secondo cui lo spiegamento di truppe al confine non è motivato da mire espansionistiche nei confronti dell’Ucraina.

Tali affermazioni non sono state ritenute credibili, anche perché smentite dalle richieste rivolte all’occidente di fornire formali garanzie di sicurezza che escludano la possibilità che l’Ucraina entri a far parte dell’Alleanza Atlantica, oltre al ritiro dei battaglioni da polonia, Lituania, Estonia, Lettonia e l’interruzione di qualunque attività militare euro-atlantica nell’Europa dell’Est.

Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha esortato la Russia a tornare su un percorso di “pace e dialogo”.

E mentre le Ambasciate russe, statunitensi, inglesi e australiane sono state evacuate, Washington ha allertato i suoi militari per un possibile dispiegamento di forze in Europa orientale, nel caso in cui la situazione dovesse precipitare.

In risposta alle richieste russe, gli USA e l’Alleanza, il 26 gennaio, non hanno escluso la possibilità di includere nell’alleanza atlantica anche altri Stati, tra i quali l’Ucraina, ma hanno aperto la possibilità di dialogo sulle esercitazioni militari e sullo spiegamento di truppe.

A questo punto si attende la contromossa di Mosca, ma è chiaro a tutti che questa tensione, ove non dovesse trovare una soluzione diplomatica, potrebbe portare a conseguenze disastrose.

Secondo l’amministrazione Biden l’eventuale invasione da parte del Cremlino potrebbe produrre una crisi umanitaria senza precedenti, con milioni di rifugiati ucraini che sarebbero costretti a lasciare il paese e fuggire in Europa.

Scene di guerra che ci riportano ad un passato studiato sui libri di storia, documentato da immagini di distruzione e di morte, da testimonianze cariche di dolore, immagini, voci e volti che tra pochi anni potrebbero essere i nostri, se quest’assurda prova di forza tra potenze dovesse degenerare in uno scontro bellico.