Il ritiro dall’Afghanistan: la Saigon del XXI secolo
di Alessandro Caccavale
Quella che per venti lunghi anni sembrava essere la speranza democratica dell’Afghanistan, è crollata in meno di una settimana. L’aspetto più tragico è senza alcun dubbio la reintroduzione delle restrizioni nei confronti delle donne, oramai obbligate a rispettare la Sharia, la legge che entrerà in vigore nell’ormai proclamato Emirato Islamico dell’Afghanistan. L’Afghanistan, questo splendido paese la cui popolazione è martirizzata da decenni di terribili guerre.
La decisione degli Stati Uniti di ritirarsi prima entro l’11 settembre, poi per il 4 luglio, ha obbligato tutti i contingenti occidentali a riprogrammare le strategie per un sicuro ritiro dall’Afghanistan. Le previsioni possibili all’indomani del ritiro NATO prospettavano principalmente due scenari: la tenuta del sistema proto-democratico afghano o una terribile guerra fratricida. Purtroppo, ha preso il sopravvento una terza possibilità non preventivata: la quasi totale assenza di resistenza delle Forze governative afghane davanti all’avanzata talebana. Le stesse forze governative che per 20 lunghi anni sono state addestrate ed equipaggiate dalla NATO, USA in primis. Questa imprevista situazione è da analizzare molto attentamente: da una previsione del Pentagono di una capitolazione delle forze governative in 90 giorni si è passati de facto ad una totale conquista del Paese in una manciata di settimane; si sono registrate migliaia di defezioni, reggimenti interi passati dalle forze governative allo schieramento talebano. Sul banco degli accusati sono finiti gli alti Ufficiali governativi, i quali avrebbero dichiarato diverse divisioni “fantasma” per accaparrarsi più soldi ed aumentare il livello di corruzione nelle Istituzioni locali. Certamente l’Alleanza Atlantica dovrà interrogarsi su quanto accaduto, come ha dichiarato il Ministro della Difesa Guerini in una recentissima intervista. Nonostante le promesse fatte negli accordi di Doha nel 2020, i Talebani hanno proseguito il loro piano di radicalizzazione dell’intero Paese, dove l’uguaglianza delle donne e la democrazia non trovano spazio. Il conflitto più duraturo dove gli USA sono stati coinvolti si conclude con un mesto bilancio: 3502 caduti della Coalizione NATO, di cui 2355 sono vittime solo USA. Anche la nostra Patria ha pianto delle perdite in questo conflitto ventennale. Sono infatti caduti 53 nostri connazionali, un prezzo altissimo per il nostro Paese. Ma chi paga di più è la popolazione locale, con una stima di 47,246 vittime civili e 65,596 caduti nelle Forze di Sicurezza Afghane.
L’epilogo di questo triste abbandono non può non rimandare ad un’altra ritirata americana avvenuta nel 1975, ovvero la caduta di Saigon, capitale dello sconfitto Vietnam del Sud. Le scene drammatiche dell’evacuazione di Saigon sono estremamente similari a quelle che abbiamo assistito in questi giorni presso l’aeroporto di Kabul, dove la folla di civili si è riversata sulla pista cercando di salire sugli aerei militari.
E ora?
L’abbandono caotico delle sedi diplomatiche nella Capitale non ha fatto altro che buttare benzina sul fuoco, dove l’aeroporto è stato preso sotto assedio dalla popolazione locale in cerca di salvezza. Un tema molto caldo è la tutela dei collaboratori locali dei vari contingenti occidentali, i quali prima si sono sentiti abbandonati, e poi, a seguito una vasta protesta sui media, finalmente ascoltati. Per quanto riguarda l’Italia l’“Operazione Aquila” è iniziata il 14 giugno con l’arrivo a Fiumicino dei primi 82 collaboratori, su un totale di 670 civili afghani, i quali verranno accolti nei prossimi giorni, a seguito della frettolosa evacuazione. Portare in salvo i collaboratori e le loro famiglie è senza dubbio un atto dovuto ad essi, i quali, per lavorare, sono diventati bersagli prediletti delle spietate rappresaglie talebane.
Per quanto riguarda il punto di vista strategico e geopolitico, si delinea un futuro tragico per l’area orientale. Con la caduta di tutte le basi aeree afghane, gli USA hanno drasticamente perso terreno sull’intera area, arrivando ad una notevole riduzione della propria proiezione di forza. Con un esponenziale aumento dell’influenza iraniana, un Pakistan sempre più allineato alle politiche cinesi (in chiave anti-indiana) e le esercitazioni militari russe al confine con l’Uzbekistan ed il Tagikistan, il grande escluso è proprio il Paese a stelle e strisce, il quale reputa ormai questa aerea priva di interesse strategico.
Ad interessarsi direttamente all’Afghanistan parrebbe proprio la Cina, dove alcuni rumors danno già per siglato un accordo con gli stessi talebani. La grande incognita rimane però all’interno dei confini afghani: con tutti i mezzi e gli armamenti catturati alle forze governative, i talebani rappresentano una nuova minaccia terroristica internazionale, come nel 2001, oppure le varie fratture fra le tribù talebane porterà ad una ennesima guerra civile?
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