Il Senato della Repubblica è senza dubbio il protagonista del dibattito che da mesi agita l’Italia intorno al referendum che ci chiamerà a confermare o meno la riforma costituzionale approvata dal Parlamento. Le tre “parole d’ordine” sulla riforma del Senato, ricalcate in parte dal quesito che probabilmente troveremo sulla scheda al momento del voto, sono state finora: superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, contenimento dei costi della politica.
Andando oltre le semplificazioni del dibattito pubblico, la riforma che interesserebbe il Senato in caso di vittoria del “sì” riguarda tre aspetti principali: 1) composizione e modalità di elezione; 2) rapporto con il Governo; 3) partecipazione alla funzione legislativa.
Composizione del Senato e modalità di elezione senatori
Come funziona oggi
Attualmente il Senato è composto da 315 senatori, di cui 6 eletti nella circoscrizione estero; i restanti 309 sono eletti su base regionale, quindi ciascuna regione ha assegnato un numero di senatori in proporzione alla popolazione. I senatori sono eletti con il voto di tutti gli elettori con più di 25 anni di età, mentre sono eleggibili solo i cittadini che hanno già compiuto i 40 anni. I senatori durano in carica per tutta la legislatura: il Senato si rinnova completamente ogni 5 anni, a meno che non vi siano elezioni anticipate.
Ai 315 senatori elettivi si aggiungono i noti “senatori a vita”, rappresentati da 5 senatori che ciascun Presidente della Repubblica può nominare scegliendoli tra i cittadini che hanno raggiunto alti meriti nel campo sociale, artistico o scientifico, e dai Presidenti della Repubblica emeriti. I senatori a vita si distinguono dai colleghi elettivi solo per le modalità di nomina, non per i compiti e le prerogative.
I senatori godono dell’“immunità” per le opinioni espresse nell’esercizio delle proprie funzioni e non possono essere sottoposti ad intercettazioni, perquisizioni, sequestro di corrispondenza o privazione della libertà personale se non previa autorizzazione del Senato. Essi godono di un’indennità economica stabilita dalla legge.
Come potrebbe cambiare
In caso di vittoria del “sì”, il numero dei senatori si ridurrebbe a 95; a questi si aggiungerebbero i 5 senatori di nomina presidenziale, con la differenza che questi non manterrebbero la carica a vita, ma per un mandato non rinnovabile di 7 anni. Senatori a vita sarebbero pertanto solo gli ex Presidenti della Repubblica.
I 95 senatori non sarebbero più eletti direttamente dai cittadini, ma dai Consigli regionali, che li sceglierebbero fra i propri componenti, tranne un senatore per ciascuna Regione, che sarebbe scelto tra i sindaci dei comuni del territorio regionale. Le modalità di elezione dei nuovi senatori non sono stabilite dalla riforma, ma saranno contenute in una futura legge elettorale. Quel che è certo, perché espressamente stabilito dalla riforma, è che i senatori manterrebbero entrambe le cariche (senatore e consigliere regionale o sindaco) e che la durata della carica di senatore sarebbe legata a quella di consigliere regionale o sindaco: ne consegue che il Senato non sarebbe più completamente rinnovato allo scadere di ogni legislatura, ma si rinnoverebbe “per gruppi”, secondo la durata del mandato di ciascun consiglio regionale e dei sindaci. La conseguenza più rilevante rispetto ad oggi starebbe nel fatto che gli equilibri politici all’interno del Senato potrebbero variare spesso, non più soltanto ogni cinque anni, ma in occasione di ogni elezione regionale e comunale.
I compiti di Senato e Camera sarebbero molto diversi su due aspetti di fondamentale importanza: il rapporto di fiducia con il Governo e la partecipazione alla funzione legislativa.
I “nuovi” senatori eletti dalle Regioni godrebbero delle stesse immunità stabilite oggi per i senatori eletti dai cittadini. Per quanto riguarda il trattamento economico, essi continuerebbero invece a percepire solo l’indennità prevista per la carica di consigliere regionale o di sindaco, fatto salvo il rimborso delle spese, secondo le modalità che saranno successivamente stabilite.
“Bicameralismo perfetto” è un’altra locuzione che ci accompagna da mesi nella lettura dei giornali e nell’ascolto dei dibattiti televisivi.
Per bicameralismo si intende il fatto che il Parlamento è composto da due Camere: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. L’attributo “perfetto” indica che oggi Camera e Senato hanno, in tutto e per tutto, gli stessi identici compiti: nell’approvazione delle leggi, nel rapporto di fiducia con il Governo, nell’elezione di alcune cariche dello Stato, ecc.
Qualora la maggioranza dei votanti al prossimo referendum dovesse approvare la riforma, il bicameralismo rimarrebbe, ma non sarebbe più perfetto, perché i compiti di Senato e Camera sarebbero molto diversi su due aspetti di fondamentale importanza: il rapporto di fiducia con il Governo e la partecipazione alla funzione legislativa.
Il rapporto di fiducia con il Governo
Come funziona oggi
L’Italia è una repubblica parlamentare: la permanenza in carica del Governo dipende dal permanere del rapporto di fiducia con il Parlamento. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, come noto, viene nominato dal Presidente della Repubblica, ma il Governo entra effettivamente in carica solo se riceve il voto di fiducia del Parlamento ed è costretto a dimettersi se questa fiducia viene meno.
Oggi il rapporto di fiducia lega il Governo ad entrambe le Camere: Camera e Senato. Un Governo appena nominato deve ricevere quindi il voto di fiducia di entrambe le Camere ed è costretto alle dimissioni se durante la legislatura viene a mancare la fiducia anche di una sola delle due.
Come potrebbe cambiare
La riforma conserva il rapporto di fiducia solo tra Governo e Camera, escludendone il Senato.
In caso di vittoria del “sì”, i futuri Governi dovrebbero ricevere quindi la fiducia della sola Camera e solo quest’ultima potrebbe votare una sfiducia, costringendo il Governo alle dimissioni. Di conseguenza, i voti eventualmente espressi dal Senato contrariamente alla posizione politica del Governo non obbligherebbero il Governo alle dimissioni, rappresentando tuttalpiù un fatto di rilevanza politica, ma privo di conseguenze necessarie e dirette sulla permanenza in carica dell’Esecutivo.
La partecipazione alla funzione legislativa
Come funziona oggi
Storicamente i Parlamenti hanno sempre rappresentato l’organo che esercita il potere legislativo dello Stato, quello cioè di approvare le leggi.
Oggi la Costituzione prevede che questo potere sia esercitato “collettivamente” dalle due Camere, sia attraverso il potere di presentare proposte di legge, sia attraverso quello di approvare le leggi. Per quanto riguarda il primo potere, ciascun deputato o senatore può presentare una proposta di legge che il Parlamento è obbligato ad esaminare, discutere e approvare o respingere. Riguardo invece al potere di approvazione delle leggi, in estrema sintesi può dirsi che una proposta di legge, per essere definitivamente approvata ed entrare in vigore, deve ricevere l’approvazione sia della Camera che del Senato, nello stesso identico testo.
Il normale processo di approvazione di una legge può essere schematizzato così: 1) la proposta di legge viene presentata ad una delle due Camere (es. la Camera dei deputati); 2) la proposta viene esaminata dalla commissione competente per materia della Camera; 3) la proposta, con le osservazioni della commissione, viene discussa e votata dall’intera Camera; 4) il testo approvato dalla Camera viene trasmesso al Senato, dove si svolge lo stesso iter, cioè prima l’esame della commissione e poi la discussione e il voto dell’assemblea plenaria. Se il Senato approva la legge senza modificare nulla del testo trasmesso dalla Camera, la proposta è definitivamente approvata e diventa legge; se invece il Senato apporta modifiche, la Camera sarà chiamata a votare il testo modificato dal Senato e così via fin quando entrambe le Camere non avranno approvato lo stesso identico testo.
I regolamenti parlamentari prevedono anche altri due procedimenti “speciali” di approvazione delle leggi, con un coinvolgimento maggiore delle commissioni, ma in questa sede non è necessario approfondire l’argomento: quel che è necessario tenere a mente è che l’attuale sistema prevede una perfetta equivalenza del ruolo del Senato e della Camera nell’approvazione di ogni legge.
Come potrebbe cambiare
La riforma costituzionale prevede che l’attuale procedura, che vede Camera e Senato cooperare in posizione di parità nell’approvazione delle leggi, non sia più la regola, bensì sia limitata alle proposte di legge che riguardano le seguenti materie:
- revisione della Costituzione e altre leggi costituzionali;
- attuazione della Costituzione riguardo
certe materie (minoranze linguistiche, referendum, elezioni, organi di governo e altre); - ordinamento (organizzazione e funzionamento) degli enti locali;
- partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione del diritto dell’Unione Europea;
- ineleggibilità e incompatibilità dei senatori;
- elezione dei senatori da parte dei Consigli regionali;
- ratifica dei trattati dell’U.E.;
- attuazione delle norme della Costituzione che disciplinano le Regioni e gli enti locali.
L’elenco mostra come i casi che vedrebbero Camera e Senato contribuire alla pari all’approvazione delle leggi, come avviene oggi, sarebbero una parte minore rispetto a tutte le restanti materie che sarebbero oggetto della nuova regola generale in base alla quale le leggi sono approvate dalla sola Camera.
In caso di conferma della riforma, l’effettivo peso delle materie per le quali varrebbe ancora il bicameralismo perfetto dipenderà in gran parte da come i regolamenti e la prassi del Parlamento applicheranno le nuove norme. Ad esempio una materia sulla quale si discute molto è quella relativa alle leggi che riguardano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione del diritto dell’U.E.: essa pare riguardare le sole leggi che disciplinano le modalità e gli strumenti di partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione del diritto dell’Unione, ma se i nuovi regolamenti parlamentari dovessero interpretare la norma “allargando” i confini della materia fino a ricomprendere le leggi di attuazione del diritto dell’U.E., ciò aumenterebbe in misura rilevante il peso del Senato, poiché un grandissimo numero di leggi, riguardanti molte materie, attua direttive o raccomandazioni europee.
La nuova regola, si è detto, vedrebbe la sola Camera approvare gran parte delle leggi. Sono però previsti degli strumenti che consentirebbero un intervento da parte del Senato anche su altre materie oltre quelle elencate. Entro 10 giorni dall’approvazione di una legge da parte della Camera un terzo dei senatori potrebbe chiedere che la legge venga esaminata dal Senato. Entro 30 giorni il Senato potrebbe proporre delle modifiche alla legge, dopodiché la Camera si pronuncerebbe definitivamente, potendo liberamente accogliere o meno le proposte del Senato. Le leggi con le quali lo Stato incide su materie che sarebbero di competenza delle Regioni sarebbero automaticamente esaminate dal Senato, senza necessità di richiesta da parte di un terzo dei senatori. In questi casi, se il Senato dovesse proporre delle modifiche con il voto favorevole della maggioranza dei propri componenti (maggioranza assoluta), la Camera potrebbe rifiutare la proposta del Senato solo votando a sua volta a maggioranza assoluta. Anche le leggi di bilancio e di stabilità sarebbero automaticamente sottoposte all’esame dal Senato.
In questi casi, quando si parla di “esame”, si intende una funzione ben diversa rispetto a quella che spetta oggi al Senato: un voto contrario del Senato rispetto all’approvazione della legge, oppure una proposta di modifiche non vincolerebbero in alcun modo la Camera, che resterebbe libera di accogliere o meno le proposte dell’altro ramo del Parlamento.
Infine, viene eliminata anche la possibilità, da parte di ciascun senatore, di proporre disegni di legge. Se la riforma dovesse passare il potere di proposta legislativa spetterebbe non a ciascun senatore, ma all’intero Senato: in altre parole la proposta, prima di poter essere esaminata dalla Camera, dovrebbe essere approvata dal Senato.
Per concludere, la riforma costituzionale proposta ridisegna completamente il ruolo del Senato, facendone una Camera la cui funzione dovrebbe essere prevalentemente quella di rappresentare le Regioni e gli enti locali, ridimensionandone in misura rilevante il peso negli equilibri di Governo e nell’approvazione della maggior parte delle leggi. Come si è accennato, in caso di vittoria del “sì” al referendum, gli effetti concreti della riforma saranno fortemente influenzati dai regolamenti parlamentari, chiamati a disciplinare i nuovi rapporti tra Camera e Senato, nonché dalle varie leggi di attuazione, in particolare dalla legge che disciplinerà le modalità di elezione dei senatori e quelle che consentiranno a costoro di svolgere contemporaneamente la carica di senatore e quella di consigliere regionale o sindaco.
La personale valutazione sulla bontà o meno della riforma, cui siamo chiamati tutti in vista della prossima consultazione referendaria, dovrà necessariamente considerare le modifiche che riguardano il Senato e i nuovi rapporti di potere tra Parlamento e Governo unitamente alle altre modifiche proposte, in particolare a quelle riguardanti i rapporti tra Stato e Regioni, cercando di cogliere il disegno complessivo che ne deriva.
*Università degli studi di Pavia,
già segretario nazionale della Fuci