di Matteo Tarantino *

L’implicazione di una radicale trasformazione nella “natura umana” da parte della tecnologia è una costante della riflessione sul rapporto fra società, cultura e tecnica. Come gli studi sugli immaginari tecnologici hanno abbondantemente dimostrato (fra i tanti: Marvin 1994; Stefik 1995; Mosco 2005) i discorsi sulla tecnologia hanno ripetuto, quasi meccanicamente, gli stessi contenuti certamente dai tempi dell’elettricità – e senza difficoltà si potrebbe retrocedere a prima.

Da un lato, continuiamo a dirci che ogni successiva tecnologia è destinata a farci superare i nostri limiti umani. Ad esempio, possiamo essere solo in un posto in un dato momento, e ci diciamo che le tecnologie annullano lo spazio e il tempo. Apparteniamo a gruppi sociali diversi (ad esempio a culture o nazioni), talvolta in conflitto, e ci diciamo che le tecnologie renderanno tali appartenenze ininfluenti o nulle. Il nostro potere di definire le nostre vite è limitato, e ci diciamo che le nuove tecnologie ci daranno un potere crescente di impattare sugli assetti politici e organizzativi dei nostri contesti sociali (la promessa di “democrazia diretta” ad esempio). Siamo legati ai nostri corpi, e ci diciamo che le prossime tecnologie svincoleranno le nostre identità da essi, consentendoci di bypassare le nostre caratteristiche fisiche nelle relazioni interpersonali. E così via. […]

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* Università Cattolica di Milano